Numero 10 del 2006
Violenza: sconfiggere la paura
Testi pagina 4
ottobre 2006 noidonne4
Conviene partire dai dati positivi: di violenza subita dalle don-ne si ri-parla; sono non episodici e significativi i segnali di ri-
presa di azione e parola pubblica da parte delle donne sull'argo-
mento. Anche gli uomini, pochi, cominciano ad sentirsi parte in
causa e a chiedersi se e cosa fare. Come scrive Patrizia Romito,
sempre per valorizzare quanto di positivo abbiamo nello scenario
odierno, "la ragione ci dice che la consapevolezza dei diritti delle
donne e dei bambini è ormai planetaria e che da questa consape-
volezza, patrimonio di molte donne e di non pochi uomini, non si
torna più indietro." Molto si è fatto ma moltissimo c'è da fare, e an-
che da ri-fare, affinché le violenze di genere siano largamente per-
cepite nella corretta dimensione, cioè la manifestazione più espli-
cita della cultura patriarcale ancora dominante a livello planeta-
rio. Articoli, convegni, seminari, petizioni sul tema delle violenze
alle donne si stanno moltiplicando, in questo numero 'noidonne' ne
riporta per il momento parziale cronaca, e tutto fa pensare che sia-
mo all'inizio di un nuovo fermento destinato a prendere sempre più
vigore. Occorre lavorare ancora molto sull'informazione per far co-
noscere alle donne i loro diritti ed è importante anche ripercorrere
il lungo e faticoso cammino compiuto per la conquista di leggi che
tutelino le vittime e ne rispettino pienamente la dignità. In questo
senso i centri antiviolenza, gestiti con una generosità e tenacia tan-
to misconosciuta quanto nobile, si caratterizzano come dei veri e
propri avamposti che tutto conoscono del peggio che si muove nel-
le viscere della società, quel peggio che la società preferisce rimuo-
vere. Tranne che poi, quando la cronaca impone la sua distorta in-
formazione aggettivando variamente lo stupro (notturno, etnico,
di gruppo, tra minori, in discoteca, lesbico ecc) oppure descriven-
do come causato da usanze tribali un barbaro omicidio, la socie-
tà è costretta a prendere atto che la violenza di genere non si può
archiviare nel calderone generale della sicurezza, così come non
abbiamo potuto accettare l'omicidio di Hina come perpetrato nel
rispetto di una legge del clan di appartenenza. La società multiet-
nica, proponendoci nuove categorie e pretesti scatenanti per le vio-
lenze, ha impresso un'accelerazione e richiamato una più larga at-
tenzione sollecitando al tempo stesso le donne ad intensificare il
dialogo con le immigrate. Le donne non hanno mai smesso di oc-
cuparsi delle violenze - molte lo hanno ricordato a chi questa esta-
te ci ha accusate di non scagliarci contro i barbari omicidi che
hanno fatto da corollario ai venti di guerra - e tanto non sono sta-
te con le mani in mano che, continuando l'elaborazione teorica di
decenni, hanno anche coniato un termine per definire l'uccisione di
una donna: FEMMINICIDIO. Dietro e dentro questa parola c'è un
mondo e c'è una dimensione culturale alternativa a quella domi-
nante e prevaricante. Se la matrice della violenza degli uomini sul-
le donne è culturale e universale, è su questo piano che dobbiamo
intervenire anche utilizzando gli strumenti che la società mediati-
ca offre. Con un termine, femminicidio - nuovo e corto e fulminan-
te - le donne possono essere dirompenti non chiedendo, ma impo-
nendone l'uso al mondo dell'informazione. Non è uno slogan - ma
ne potrebbe avere la potenza - perché è troppo densa la valenza
simbolica della parola e nella richiesta sarebbero già implicite le
relative rivendicazioni.
Tiziana Bartolini
Femminicidio,
parola da imporre
Editoriale
Questo è un invito rivolto a te, sorella musulmana, un invito a toglierti il velo. E'un invito sincero. Non è un atto di cattiveria. E' un invito puro. Non cerca di pro-
fanare una parte di te. Così come non vuole spronarti alla perversione. Anzi ti invi-
ta ad adoperare la tua mente, a utilizzarla, da sola. Tu e la tua mente, bastate da so-
le. Senza dovere cercare nei libri e nella storia. Senza dovere esplorare nei quaderni le opinioni dei commentatori. Per questo te lo chie-
do, senza paura. Ti chiedo di accogliere con benevolenza e ponderare le mie parole senza dubitare del mio intento. Dopotutto tu sei li-
bera. Libera di decidere. Libera di scegliere il tuo destino. Di fare quel che vuoi. Sei padrona di te stessa. Solo tu. Solo tu ti puoi proteg-
gere. Nessun altro. Puoi indossare il velo oppure toglierlo. Rispetterò qualsiasi tua decisione. Alla fine la decisione deve essere la tua.
Lascia quindi che ti illustri il motivo del mio invito. Ho detto in un precedente scritto che l'uso del velo è iniziato di fatto nel mondo is-
lamico con la rivoluzione islamica in Iran, che ha reso obbligatorio il velo per le donne dopo che i religiosi erano riusciti a convincere
il ceto medio e le fazioni di sinistra a spargere il proprio sangue per cacciare lo scià Muhammad Reza Pahlevi. Siccome questa rivolu-
zione ha rappresentato la prima vera rivolta nella regione è diventata per molti un esempio da imitare, così come l'abbigliamento del-
le donne iraniane (naturalmente, i mezzi di comunicazione hanno taciuto tutte le manifestazioni femminili contro l'imposizione del ve-
lo, ma questa è un'altra storia). A questo si aggiunge un altro fatto, ovvero il boom petrolifero cui ha assistito il Regno saudita in se-
guito al quale alcune persone facoltose hanno iniziato a investire il proprio denaro per pubblicare la cultura della propaganda islami-
ca wahhabita, e per avviare una enorme macchina mediatica che afferma da mattina a sera che il velo è obbligatorio. Queste tradi-
zioni della propaganda islamica si sono unite al pensiero dei Fratelli musulmani e delle fazioni politiche arabe e islamiche a loro ispi-
rate, per diffondere nella società un pensiero nuovo, un pensiero strano, che ha cambiato molti comportamenti e modi di pensare. Quin-
di l'ambito in cui è nata la questione del velo è politico. Due nazioni, in cui il regime politico governa in nome della religione, attra-
verso la quale cercano di diffondere il loro modello e al tempo stesso affermare la legittimità del loro potere. Entrambe impongono alle
donne il velo, affermando che si tratta di un simbolo religioso, a prescindere dalla loro volontà. A prescindere dalla volontà delle don-
ne! Il pensiero dei Fratelli musulmani mira unicamente a raggiungere il potere politico. Tuttavia, poiché usano la religione per giustifi-
care il loro fine, devono anche fornirci un modello "comportamentale islamico" e l'"abbigliamento" risulta esserne una parte centrale.
Quindi, torno a ripetere la questione del velo è del tutto politica. Politica e basta. Ma la sua giustificazione, la convinzione da parte
della donna che sia un obbligo, ha assunto tre aspetti: i primi due umani, il terzo religioso. La prima giustificazione si basa sul fatto
Togliti il velo!