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Numero 6 del 2009

Libere o sicure?


Foto: Libere o sicure?
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Testi pagina 4

giugno 2009 noidonne4
Forse anche questa volta andrà così: passate le elezioni ilchiasso intorno ai respingimenti dei barconi degli immi-
grati finirà insieme alla muscolare campagna elettorale che
ha visto in competizione la Lega e il Pdl sul terreno della si-
curezza, il governo dovrà in
qualche modo riconciliarsi con
l'ONU perchè è impensabile per
un Paese dell'Unione europea
chiamarsi fuori dalle regole con-
divise dalla comunità interna-
zionale, le stringenti norme che
condannano onesti e laboriosi
immigrati a diventare loro mal-
grado dei clandestini fuorilegge
non saranno applicate come
spesso capita alle leggi in Italia.
Forse andrà così, ma non è det-
to perchè la destra al governo
sfrutta la popolarità del Presidente del Consiglio e i numeri in
Parlamento per imporre provvedimenti che ridisegnano un
Paese che fa dell'egoismo e della paura i suoi tratti distintivi.
Il quesito è: fino a che punto gli italiani sono davvero così
egoisti e impauriti ? Qual è il limite della tensione che posso-
no tollerare ? Ci sarà pure una soglia oltre la quale quella
persona, che generosamente è solidale nel quartiere o nella
catastrofe nazionale e che conversa cordialmente con l'egi-
ziano che gestisce la pizzeria all'angolo, non è disposta ad
annullarsi in vista di una minaccia ossessivamente narrata.
Ecco, forse dobbiamo solo
aspettare che l'aggressività e la
pervasività trabocchi e sommer-
ga i fautori stessi di questa schi-
zofrenia. Nel frattempo il da fa-
re non manca valorizzando,
ostinatamente, pratiche di soli-
darietà e generosità coltivate in
una certa idea di democrazia
che si richiama alla Costituzio-
ne e a quanto fu pagato per
averla. Le donne dell'ANPI, re-
centemente riunite a Roma nella
Conferenza nazionale con una
vivace partecipazione di giovani, rimettevano al centro del
vivere civile la forza della Resistenza, declinata ad un oggi
che richiede presenza attiva e protagonismo positivo, possi-
bilmente collettivo. Delle donne in particolare, abituate a re-
sistere alle molte avversità che incontrano e dalle quali non
si fanno domare.
Società respingente
Cara direttora
Tiziana Bartolini
Susanna (Agnelli)
Una volta mi disse "pensa come sarebbe diverso l'impatto
con me se mi chiamassi Pecora invece che Agnelli".
Eletta per la prima volta quando toccò anche a me, ci tro-
vammo in tre a simpatizzare: io, lei ed Emma Bonino. Face-
vamo nostri commenti da neofite in "transatlantico" e stava-
mo volentieri vicine durante le interminabili discussioni che
lasciavano deserta l'aula, sedute tutte e tre nei banchi del
partito comunista. I partiti avvertirono che "non si doveva".
Il Partito repubblicano la richiamò all'ordine anche quando,
ascoltato un intervento di Luciana Castellina, applaudì: "mi
era sembrato un bel discorso...ma in Parlamento si applau-
dono soltanto i propri colleghi di partito e, più tiepidamente,
quelli della maggioranza di cui si fa parte". Già aveva subi-
to un impatto pesante con Ugo La Malfa quando il PRI le pro-
pose di candidarsi, e lei, che era andata a colloquio consa-
pevole ed emozionata, si sentì dire "naturalmente se accet-
tasse suo fratello Gianni, per lei, la cosa cadrebbe" .
Cose che capitano alle donne per una storia troppo anti-
ca. Anche Susanna, destinata ad essere "nipote di-, figlia di-,
sorella di-". reagiva alle istituzioni maschili e maschiliste e
accompagnò le parlamentari più sensibili che, per esempio,
andarono a visitare le carceri femminili facendosi accompa-
gnare da giornaliste femministe perché si realizzasse un'inda-
gine sulla condizione delle donne in prigione. Non tuttavia
femminista se, partendo da un sé privilegiato, sosteneva che
la violenza sessuale era anche responsabilità delle donne,
perché "a lei" non sarebbe mai capitato.
Non aveva remore e esprimeva giudizi severi per puro ri-
spetto della verità. La Stampa le aveva affidato la rubrica
"l'Aula", ma gliela tolse subito perché "si offendevano tutti"',
e anche il fratello Umberto, che aveva accettato di essere se-
natore per la DC, ricevette non tenere critiche. Andò nel Cile
di Pinochet e per i suoi giudizi i giornali locali le attribuirono
l'iscrizione al partito comunista; non così in Argentina, dove
non poteva solidarizzare con la resistenza dei fratelli Santu-
cho che avevano rapito e ucciso il rappresentante della Fiat.
Da sottosegretaria agli esteri, lavorava senza risparmio e ri-
spondeva, spesso di sua mano, a chi l'interpellava. Tuttavia,
né il ruolo parlamentare, né la rappresentanza del governo le
sembravano così costruttive come la responsabilità di sinda-
co: ricordava l'amministrazione del comune dell'Argentario
come la sua attività migliore, anche se avendo difeso a spa-
da tratta l'ambiente contro la speculazione edilizia, ne era
uscita sconfitta. E' la sola volta che dice di avere pianto. Lo
dice in quel libro 'Addio,addio mio ultimo amore', meno no-
to di 'Vestivamo alla marinara', ma più trasgressivo e perbe-
nisticamente occultato ad opera dei grandi apparati di fami-
glia.
Il pettegolezzo giornalistico le dava fastidio: meglio la ve-
rità, nuda. Anche per sé stessa meglio l'autenticità e mettere
per iscritto il nome e cognome dei suoi partners e il giudizio
impietoso su uomini che si presumevano Pigmalioni.
Pigmalioni per Susanna?! Se li incontra mai nell'aldilà si
sprecheranno le ironie.
Giancarla Codrignani
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