Numero 6 del 2010
Spot! Pubblicità & dignità
Testi pagina 39
noidonne giugno 2010 39
Letizia Maniàci è a Reggio Emilia percondurre un laboratorio di "telegior-
nalismo". E' una ragazza che non ama
la "scena", non pretende ruoli da prota-
gonista, ma ugualmente ha accettato
l'invito del Consorzio Cooperativo
"Oscar Romero" e del progetto "Percorsi
di Cittadinanza & Legalità", a condivi-
dere con i ragazzi del Liceo Ariosto ciò
che ha imparato sul modo di "fare vera
informazione". Un'esperienza educativa
che coinvolge città e istituzioni e che
consente ad un gruppo di giovani di "re-
spirare" il profumo della "buona infor-
mazione"; l'informazione che vuole co-
noscere, capire e che, quando serve, è
capace di "fare nomi e cognomi".
In queste poche si racchiude la storia
di Telejato, piccola tv di Partinico, in
provincia di Palermo. Una storia che è
anche "la storia" dell'intera famiglia
Maniàci che Letizia racconta nel libro
"Mai chiudere gli occhi" (Rizzoli) con
cui nel 2005 ha vinto il premio giornali-
stico Maria Grazia Cutuli. Una storia
scritta, senza esaltazione né protagoni-
smo, per dire che vale la pena lottare
per la ricerca della verità, per appro-
priarsi del diritto alla parola, per aiuta-
re la giustizia, per mostrare l'orgoglio di
appartenere ad una terra difficile, ma
bella. Spesso matrigna e, allo stesso
tempo, mai sostituibile.
Da quanti anni Telejato è della fami-
glia Maniaci?
Dal 1999, io avevo sedici anni e ho
incominciato a lavorarci quasi per gio-
co. Ho imparato in fretta ciò che servi-
va; ciò che era indispensabile per vede-
re, documentare, raccontare la verità.
Ho lasciato gli studi per "entrare a pieno
titolo" nell'avventura Telejato. Da allo-
ra tutto nella mia vita avviene "ad alta
velocità". In fretta ho dovuto imparare
tutto; dalle riprese alla regia; dalla re-
gia alla messa in on-
da. Solo dall'anno
scorso faccio il mon-
taggio.
Chi guarda Telejato?
La guardano in
molti, pare anche i
mafiosi. E' una televi-
sione che "non fa scon-
ti" e che arriva sul po-
sto dove avvengono i
fatti, spesso prima di
altri. Sono gli stessi
cittadini che ci avvisano; invece di tele-
fonare alla polizia o ai carabinieri, tele-
fonano a Telejato. E' in questa fiducia
che troviamo la forza di prendere la te-
lecamera e continuare a raccontare ciò
che accade intorno a noi.
Com'è il vostro telegiornale?
Sicuramente è un prodotto anomalo
nel panorama dei tg. Prima di tutto per-
ché dura più di due ore e poi perché in-
terpreta pienamente il diritto di crona-
ca. Di una cronaca che si basa su fatti,
su nomi e cognomi. Un appuntamento
quotidiano con la libera informazione
che, in questi anni, è diventato un luo-
go di dialogo e di incontro con tanta
gente che ci segue da casa, ma anche
con i tanti amici che arrivano a Teleja-
to per un saluto e che, inevitabilmente,
vengono coinvolti nella conduzione del
telegiornale. Un'esperienza che dappri-
ma li spaventa, ma che poi diventa il
cemento di amicizie.
Perché Telejato è una televisione an-
timafia?
Perché realizza un telegiornale "cha
fa i nomi e i cognomi" e che cerca di af-
fermare il diritto, prima che il dovere, a
praticare la libertà di espressione. Da
anni siamo minacciati, ma possiamo
contare su tanti amici; soprattutto sui
giovani che vengono a trovarci per
qualche breve stage, ma che finiscono
per diventare amici, anzi "fratelli adot-
tivi" della nostra piccola televisione. E
come fratelli, ce li ritroviamo spesso ac-
canto; appena possono, lasciano i luo-
ghi di studio, nelle diverse regioni italia-
ne, per tornare a Telejato a "dare una
mano". Anche da loro ci viene la forza
per continuare.
Che cosa significa per voi fare un tg
con "nomi e cognomi"?
Insulti, minacce, ansia e paura. Han-
no incendiato la nostra macchina. Non
è facile convivere con queste cose, ma se
dovessimo vivere con il timore non po-
tremmo fare più questo lavoro. E invece
continuiamo. E poi ci sono anche tante
soddisfazioni. Come il Premio interna-
zionale "Joe Petrosino" assegnato a mio
padre, Pino Maniàci, per il suo lavoro
di direttore di Telejato!
Che cos'è per te la telecamera?
E' lo strumento che mi aiuta a vede-
re, a documentare, a raccontare. Non
amo parlare. Amo invece raccontare ciò
che vedo con le immagini; penso che
siano più efficaci di qualunque parola.
In questi anni, sotto l'occhio della mia
telecamera, ho visto passare latitanti
come Provenzano, Lo Piccolo, Raccu-
glia. Abbiamo ripreso le fasi della loro
cattura e con il tg, le abbiamo portate
nelle case di tanta gente. E' questo il la-
voro che ho scelto di fare. Informazione
libera. Informazione basata sulla veri-
tà; anche quando la realtà è brutta.
Di che cosa vive Telejato?
Di poco; anzi di pochissimo. Affron-
tiamo grandi difficoltà, anche di tipo
economico. Viviamo solo con le risorse
della pubblicità. Quella di pochi, corag-
giosi imprenditori, che stanno dalla par-
te della legalità e della lotta alla mafia.
Per noi un piccolo guasto tecnico può
rappresentare un autentico dramma.
Non abbiamo risorse che ci consentano
di far fronte ai bisogni dell'assistenza,
né tantomeno del rinnovo delle macchi-
ne. Telejato è il progetto di vita dell'in-
tera famiglia Maniàci.
Letizia Maniàci
DALLA VIVA VOCE di
Rosa Frammartino
giornalista di Telejato, la televisione che fa nomi e cognomi