Numero 7 del 2012
Sportive per passione
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rante le repressioni di massa e del culto della personalità in-
staurato dal padre ebbe, come già sua madre, una tragica di—
sillusione che la portò, nel 1957, a ripudiare il cognome pa-
terno e ad assumere quello materno: “Giudichino quelli che
verranno dopo, che non hanno conosciuto gli anni che noi ab-
biamo conosciuto. Vengano i giovani, i sani, per i quali que-
gli anni saranno una sorta di regno di “Iosif il Terribileâ€, al-
trettanto lontano ed incomprensibile, strano e spaventoso (. . .).
di uomini d’affari, avvocati, politici, giornalisti ed editori, che
avevano trasformato il nome di mio padre e la mia vita in una
merce sensazionale. (. . .) Ero diventata il cagnolino ammaestrato
preferito dalla CIA e da chi era arrivato addirittura al punto
di dirmi che cosa e come dovevo scrivereâ€), dall’altro la volontÃ
di ricongiungersi con i suoi due ï¬gli rimasti in URSS, la cui lun-
ga separazione le era diventata insopportabile.
Dopo 18 anni ritornò, dunque, a Mosca, dove riottenne la
E sarà difficile che dicano che il nostro fu un tempo di pro-
gresso, che fu per il bene della grande Russiaâ€.
Una terza unione con un giornalista comunista indiano Bra-
jesh Singh, che lei amò molto, e con il quale visse a Sochi (cit-
tà della Russia meridionale), terminò con la morte prematu-
ra dell’uomo (1966). Ciò fu la goccia che fece traboccare il vaso
della sua sopportazione. Cadde in una seria crisi esistenziale,
non volle ritornare in URSS dopo la morte del compagno (si
era recata in India per ricondurvi le sue ceneri), e chiese asi-
lo politico all’ambasciata americana. L’allontanamento dal suo
paese le costò la perdita della cittadinanza (nel 1970 fu privata
della nazionalità sovietica), nonché la recisione dei suoi lega-
mi con i due figli.
Una volta arrivata in America (1967), i più prestigiosi organi
di stampa le dedicarono pagine intere. Entrò a far parte del-
la buona società di Princeton (Stato del New Jersey), viven—
do col ricavato del lavoro di scrittrice e con donazioni ricevute
da fondazioni private. Pubblicò due libri di memorie: nel 1967
“Venti lettere ad un amico†e nel 1970 “Soltanto un annoâ€.
Il 21 maggio 1971 nacque Olga, la sua terza figlia, dall’unio-
ne con l’architetto William Wesley Peters del Tanzimet-West.
Da allora adottò il nome di Lana Peters. Ma anche questo ma-
trimonio non durò a lungo. Nel 1972 fu sciolto e Svetlana ot-
tenne l’affidamento della figlia. In seguito, visse in alcune cit-
tà degli Stati Uniti e l’ultimo anno, prima del ritorno in URSS,
a Cambridge, in Inghilterra. La spinta a ritornare in patria fu
da un lato il desiderio di allontanarsi da un mondo che per lei
era diventato soffocante (“Arrivata nel mondo libero, i0 non
sono stata libera nemmeno per un giorno. Mi trovavo nelle mani
cittadinanza. Tuttavia, non rimase a vivere nella capitale. Ben
presto se ne andò a Tbilisi, in Georgia, preferendo vivere in
una città di provincia. Qui compì i suoi 60 anni. La ricor-
renza fu festeggiata nei locali del museo di Gori dedicato a
suo padre. A Tbilisi, Svetlana scrisse il suo terzo libro “Suo-
ni lontani†(1984).
Purtroppo, qualcosa non funzionò neppure in URSS. Sua fi-
glia Olga non si era ambientata nel nuovo paese, il figlio Io-
sif, che aveva accettato di riavvicinarsi alla madre, presto si al-
lontanò da lei, a causa del carattere irascibile e instabile di que—
st’ultima. Katja, la sua prima figlia, non volle mai incontrarla.
Dopo nemmeno due anni dal suo rientro in patria, Svetlana
Allilueva inviò una lettera al partito chiedendo il permesso di
uscire dall’URSS, adducendo come motivo la mancanza di com-
prensione con i figli. Da Mosca il permesso le fu rilasciato im-
mediatamente ed ella abbandonò per la seconda volta il pae—
se, conservando la doppia cittadinanza: americana e sovieti-
ca. Nella sua ultima opera, “Libro per le nipotineâ€, pubblicata
nel 1991, Svetlana racconta del suo soggiorno in URSS dura-
to meno di due anni (1984-1986).
Nel 1986 tornò negli Stati Uniti. Trascorse gli anni Novanta
a Bristol, in Inghilterra, per poi finire in una casa di riposo, il
“Richland Centerâ€, nel Wisconsin (Stati Uniti), dove visse i suoi
ultimi anni prima di morire per un tumore al colon.
Si conclude qui la vita tormentata e irrequieta di una don-
na che ebbe la ventura (sventura) di gravitare nell’orbita di
un personaggio politico “molto discusso†che segnò in modo
decisivo il corso storico del suo paese e del mondo nel Se-
colo scorso.
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