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Numero 9 del 2008

Stampa: libertà vigilata


Foto: Stampa: libertà vigilata
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Testi pagina 37

alle difficoltà concrete, aggiungiamo la
sua condizione d'emigrata, sofferta co-
me esilio morale dalla Russia, le sue tra-
gedie personali e familiari, ecco che pos-
siamo capire perché lei si senta "straccio
sbattuto dal vento della vita". Marina
Cvetaeva preferisce la comunicazione
ultraterrena: "Il mio modo preferito di
comunicare è ultraterreno: il sogno - ve-
dere in sogno", poiché il sogno è una
delle possibili vie d'uscita dal mondo
della vita reale, immagine archetipica
di un mondo altro, non materiale, dove
vivono e comunicano tra loro le anime.
Dice l'esperta di letteratura russa Pessi-
na Longo: "Tratto marcatamente cvetae-
viano è (…) l'opposizione fra l'ideale da
cui trae ispirazione - un ideale onirico -
e la realtà vera, crudele, impietosa che è
quella del suo vivere quotidiano". La
realtà àncora alla terra, alla casa, alla
famiglia, ma la Cvetaeva non accetta
la realtà perché le è ostile e perché non
le permette di "vivere fuori dalla fine-
stra": "Io ho abituato la mia anima a vi-
vere fuori dalla finestra, io per tutta la
vita mi specchiavo in essa - oh! solo in
essa - non la lasciavo penetrare in casa,
così come non si prende in casa il cane
randagio o l'uccello esotico. Ho fatto
della mia anima la mia casa, ma mai la
casa sarà la mia anima. Non ci sono
nella mia vita, non sono a casa. L'ani-
ma in casa - a casa - per me è impensa-
bile, proprio non ha senso".
Nelle riflessioni della Cvetaeva, ani-
ma e natura si fondono e confondono,
divenendo spesso termini intercambia-
bili: "Oltre la natura, cioè oltre l'anima,
e oltre l'anima, cioè la natura, nulla mi
commuove" (M.C.). Profondamente sen-
sibile alle parole di Zukovskij: "Il ro-
manticismo è l'anima", la poetessa esal-
ta quest'ultima che nel mondo circo-
stante le pare avvilita, offesa, disarma-
ta. "Marina è assolutamente ecceziona-
le, sorprendente, peculiare. Ma vive fuo-
ri della vita quotidiana e fuori della lo-
gica, vive in un mondo proprio da lei
creato". Così afferma una memorialista.
E anche Anastasija, sorella di Cvetaeva,
ricorda come Marina è a tal punto con-
vinta che il mondo sia governato dal-
l'immaginazione da assumere un atteg-
giamento estremamente libero nei con-
fronti della realtà: "Non tiene in conto
la vita, ne costruisce una tutta sua".
La Cvetaeva deve amare, perché l'a-
more è per un poeta unica fonte di vita.
Ma l'amore a cui sovente ella tende, che
si costruisce intorno, è "parvenza, falla-
ce sentimento, e non ha nulla da dare
alla donna. L'atto creativo, sollecitato
da effimere pulsioni amorose, si eleva in
raffigurazioni di straordinario lirismo
per poi lasciare la donna svuotata, este-
nuata dalla sua stessa veemenza amo-
rosa incapace di continuare il tragico
gioco di una passione solo immaginata
e di cui non conserva coscienza, perché
nasce dall'Assenza" (Pessina Longo).
Marina non ama la vita come tale, non
l'ama perché è impossibile per lei entra-
re nel letto di Procuste delle imperfezio-
ni terrestri, delle viltà dei giorni terrestri.
Qui sta il grande paradosso cvetaevia-
no: la vera esperienza amorosa appar-
tiene all'anima, alla poesia: "Tutta la
mia vita è una storia d'amore con la
mia anima" (M.C.). La terra le appare
come il regno della ferialità e trivialità
filistee, dominata dalla menzogna e dal
tradimento, "mondo dei corpi" contrap-
posto al "mondo delle anime". L'amore
terreno è solo Eva (carne) che è in eter-
no conflitto con Psiche (anima): "Io non
capisco Eva, che tutti amano. Io non ca-
pisco la carne come tale, non le ricono-
sco alcun diritto - soprattutto quello al-
la voce, che io non ho mai udito"
(M.C.). Pur senza negare gli attributi
comuni dell'amore, la Cvetaeva li intro-
duce nelle sue poesie, sforzandosi di
spogliarli del loro involucro corporale,
di liberarli dei ceppi della materia e del-
la bassa sensibilità. La Cvetaeva ha
molti amori nella sua vita, sentimenta-
li, passionali, carnali, ma lei indubbia-
mente privilegia quelli cerebrali: per Pa-
sternak, Rilke, Bachrach. Nella sua poe-
sia, ella pone i suoi eroi in situazioni in
cui gli amanti, separati, non possono
incontrarsi fisicamente. Amori, tutta-
via, che sono fragili e transitori, poiché
il solo amore reale, durevole e sicuro è
quello che Marina nutre per i suoi versi.
Nella sua biografia tutto appare incerto
e illusorio: le sue idee politiche, i giudi-
zi critici, i drammi personali, tutto,
tranne la sua poesia. La sua condizione
di profuga acuisce maggiormente que-
sto senso di precarietà che avvolge co-
stantemente la sua vita. La stessa fine
della poetessa è emblematica. Ha inter-
rotto la sua vita quando si è resa conto
che non aveva più senso continuare a
vivere. Con un presentimento, ella sape-
va di tornare in patria a morire: "Quan-
do sono salita sulla tolda della nave per
Elabuga (misera località dell'allora Re-
pubblica tartara - n.d.a.) ho compreso
che tutto era finito". Sa che là non
avrebbe potuto né vivere, né scrivere. Le
ultime parole da lei indirizzate al Soviet
del Fondo letterario, pochi giorni prima
del suicidio, sono terribili: "Al Soviet del
Fondo letterario. Prego di darmi un la-
voro di sguattera nella mensa che sta
per aprirsi. M. Cvetaeva".
noidonne settembre 2008 37
“io ho abituato la mia anima a vivere fuori dalla finestra,
io per tutta la vita mi specchiavo in essa…”
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