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Numero 9 del 2007

Dolce attesa ... o malattia?


Foto: Dolce attesa ... o malattia?
PAGINA 36

Testi pagina 36

Cos'altro può esserci da dire su DianaSpencer, la donna che in vita e in
morte fa aumentare le tirature dei giorna-
li, la cui immagine è comparsa sul mag-
gior numero di copertine al mondo? Co-
s'altro può essere detto in occasione del
decimo anniversario dalla sua morte?
Eppure qualcosa c'è: al di là delle pa-
role e giudizi espressi sulla madre del fu-
turo re d'Inghilterra, molto amata dal
popolo, come odiata nel suo ambiente e
disprezzata dalla élite di intellettuali
che arricciano sempre il naso di fronte
ai fenomeni di massa, come quello
spontaneo e inaspettato verificatosi nei
giorni successivi la sua morte e che - co-
me recentemente raccontato nel film
"The Queen" - ha fatto traballare la mo-
narchia inglese, costretta a scendere in
strada ad annusare fiori di fronte ai mi-
lioni di seguaci di Diana, in maggioran-
za donne.
Sul motivo di tanto amore di popolo
- definito da Eric Hobsbawm "privo di
ogni lucidità" - per questa principessa
indiscutibilmente interessante, conside-
rata buona e infelice da alcuni, inco-
sciente, inopportuna, opportunista e
stratega da altri, sono state fatte molte
ipotesi, ma quella proposta da Marta
Lonzi nel suo volume "Diana: una fem-
minista a Buckingam Palace" (Scritti di
Rivolta Femminile, Prototipi, 1997), cre-
do sia una delle meno conosciute. Ciò
che di diverso emerge dalle righe di que-
sto volume è il coraggio di osare attra-
versare i rotocalchi strappalacrime, i
freddi giudizi di sociologi, psicologi e
storici, per guardare più in profondità,
mettendosi in ascolto del comune senti-
re della gente, ed anche di se stessa.
Marta Lonzi, confessando di avere
pianto per la morte di Diana di "un do-
lore vero, come se avessi perso una com-
pagna di vita", scrive: "ricordare gli epi-
sodi salienti della sua giovane vita
spezzata il suo desiderio di non mollare
contro un estabilishment potente, era li-
beratorio. Assurdamente liberatorio -
pure nel dolore della morte presente.
Credo che questo sentimento sia uno dei
valori segreti e più profondi che si na-
scondono dietro la partecipazione di
cordoglio alle sue esequie e che lo stu-
dioso, Eric Hobsbawm, non provandolo,
non è in grado di comprendere.
Piangere la morte di Diana è piange-
re la fine di un'avventura appassionan-
te, perché un imprevisto aveva portato
alla ribalta internazionale una donna
che si era rilevata scardinatrice di una
cultura antica e patriarcale. Per questo
è stata tanto amata, in particolare dal-
le donne."
Imbattendosi nella difficoltà di trat-
tare una donna ormai morta, non
espressasi scrivendo ma vivendo e com-
piendo scelte plateali, per "scovare la
vera Diana" Lonzi, interessata a rivisi-
tare il percorso imprevisto che ha porta-
to Diana non alla fama internazionale
quanto a scegliere di essere se stessa, la
cerca in ogni "sua parola detta in prima
persona": siano essi discorsi ufficiali, re-
gistrazioni rubate, interviste e facendo
largo uso "dell'onestissimo libro di An-
drew Morton", che, oltre alla famosa in-
tervista per la BBC, comprende una
parte autobiografica scritta da Diana.
Sin dagli inizi degli anni Ottanta
quando Diana inizia ad apparire in
pubblico ciò che più piace alla gente
non è il suo fascino o il suo futuro de-
stino di regnante quanto il suo proporsi,
al di là delle aspettative e delle necessi-
tà di casta, come una donna in carne e
ossa, piena di timori e desideri, una
donna qualsiasi che ha sposato un futu-
ro re, ma che si è ritrovata in pastoie
non diverse da quelle di una donna co-
mune: "migliaia di donne - scrive Lonzi -
si sono appassionate alla lotta che Dia-
na ha dovuto sostenere con Carlo e la
corte, per essere riconosciuta come iden-
tità distinta, incompatibile con i ruoli
che una cultura patriarcale le aveva
predisposto e, quindi, contro gli aut aut
e le strumentalizzazioni finalizzate a
farle perdere stima e coscienza di sé, per
ridurla a una persona subalterna e com-
plementare, una figura rassicurante per
l'identità del principe".
Nell'intervista a Morton Diana rac-
conta i 16 anni di vita a corte esatta-
mente per come li ha vissuti e le sue pa-
role, intense e commoventi, sono così
ben riuscite semplicemente perché au-
tentiche e non perchè opera di una "abi-
le manipolatrice dei media", come è sta-
ta definita in una recente intervista a Ti-
na Brown su "Io donna". Diana davvero
desiderava amare ed essere amata e vi-
vere un rapporto di reciproca sincerità.
Davvero ha sofferto la fredda indifferen-
za del marito, il cinismo dell'ambiente
di corte, e ha tentato il suicidio tre vol-
te. Davvero è stata, in un primo mo-
mento, l'ingenua ragazza spaventata di
non essere all'altezza e che col tempo si
è accorta - per via di una propria "atti-
tudine a giudicare in maniera autono-
ma" -di trovarsi in un mondo finto e
"privo di rapporti con la vita e i proble-
mi di oggi".
Diana era una donna viva e vera, in
grado di provare sconcerto, ovvero lo
"sdegno apocalittico o attonito sbalor-
dimento" che sperimenta la giovane
donna quando le crolla ogni fiducia nel
patriarca, afferma Marta Lonzi citando
la sorella Carla, autrice di "Sputiamo su
Hegel" nel 1971.
settembre 2007 noidonne36
La principessa femminista
Lady D
Giovanna Providenti
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