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Numero 9 del 2008

Stampa: libertà vigilata


Foto: Stampa: libertà vigilata
PAGINA 36

Testi pagina 36

Scrivere un articolo su Marina Cvetae-va non è facile, poiché ciò non signi-
fica solo interrogarsi attorno ad una
delle massime espressioni poetiche e let-
terarie della cultura europea del Nove-
cento, ma esaminare nel contempo una
figura femminile complessa, contraddit-
toria, spesso insopportabile a sé e agli
altri, provata dalle pesanti vicissitudini
che la vita le ha serbato. Una figura,
pertanto, difficile, ambivalente, spesso
sfuggente. Da alcuni descritta come
"una dannata femmina: uterina e dun-
que isterica, frenetica, avida, stridula".
Da altri come "la moscovita di talento,
ma irrimediabilmente dissoluta". Da al-
tri ancora come "un essere fuori dal tem-
po e dallo spazio". Afferma il critico let-
terario Zveteremich: "Le sue lettere (oggi
tradotte in tutto il mondo, e anche in
Italia) ci rivelano un caratterino in cui
la presunzione di sé e la volontà di pre-
varicazione erano preminenti".
Persona esigente, cosciente della pro-
pria inestimabilità ed eccezionalità, ar-
rogante e timida insieme ("arroganza e
timidezza: sorelle consanguinee" - scrive
lei stessa), è ciononostante ricordata
per la sua intelligenza analitica, chiara,
per la sua memoria precisa, per la sua
ferrea logica. Caratteristiche queste che
si riflettono nei suoi versi, tanto da defi-
nire la sua una poesia totalmente razio-
nale e intellettuale, tra le meno roman-
tiche che ci sia dato conoscere nel pa-
norama non solo russo, ma generalmen-
te europeo e americano. Paradossal-
mente, l'intuizione e il sentire, sono per
lei elementi essenziali per cogliere il sen-
so delle cose: "L'indagine logica è indi-
spensabile, ma è pur sempre procedi-
mento supplementare per comprendere
il mondo" (M.C.). L'eco di una lirica
straordinariamente spontanea, eppure
animata da un ossessivo controllo ra-
zionale, s'inserisce nel contesto di un
linguaggio poetico che vuole essere in-
novatore, il più possibile funzionale al
servizio che deve prestare, e quindi
"esatto, economico, privo d'attributi su-
perflui". La poesia della Cvetaeva non è
al servizio della melodia, del canto,
bensì della trasmissione dell'essenza
delle cose: "Il fine della creazione non è
allietare il lettore con begli echi delle
parole" (M.C.). Il ruolo determinante
del suono, del fonema, nella sua opera
non significa affatto concessione al can-
to, alla melodia: "Io non penso, io ascol-
to. Poi cerco un'incarnazione esatta nel-
la parola" (M.C.). La Cvetaeva, con
Majakovskij, è definita "poeta antican-
to, colui che costruisce il verso non sul-
l'estetica della melodia".
In realtà, dietro la freddezza della
sua poesia rispetto alla retorica della
patria perduta o al culto delle sue tra-
dizioni, si cela un temperamento tutt'al-
tro che indifferente: inquieto, frenetico,
volutamente anarchico, che sempre la
spinge allo sbaraglio, d'una vitalità pa-
gana, ribelle e blasfema, sempre pronta
ad andare contro corrente. Afferma lo
storico Mirskij: "L'anarchismo della sua
arte si esprime sia nella straordinaria li-
bertà e varietà delle forme e dei proce-
dimenti, sia nella sua profonda indiffe-
renza verso il canone e il gusto". Inoltre,
nulla d'umano le è estraneo e questa
concreta umanità è in lei molto forte,
acuta. Più di una volta la poetessa sot-
tolinea che si occupa della vita, non
della letteratura. La letteratura dietro la
quale non si sente la vita, la natura, vie-
ne da lei definita con disprezzo "belles
lettres".
Tuttavia, nel mondo della creatività
della Cvetaeva, la "vita come essa è"
non ha spazio, perché è "un luogo dove
non si può vivere". E' da lei, addirittura,
fatto proprio il principio espresso nell'a-
forisma del poeta russo Tredjakovskij,
secondo cui "il poeta è una persona che
crea e, nell'invenzione poetica, egli rap-
presenta la realtà per come potrebbe o
dovrebbe essere". In verità, dietro que-
st'aforisma citato dai critici per com-
prendere il segreto creativo della poesia
della Cvetaeva, si nasconde anche il ri-
fiuto di una dimensione terrena da lei
stessa definita "umiliante". E non avreb-
be potuto essere altrimenti se solo ci si
sofferma ad analizzare il suo vissuto. La
critica Anna Saakijantz ha di recente
affermato: "La Cvetaeva era una creatu-
ra di grande energia e questa energia le
bastava oltre che per la sua opera, per
la difficile vita quotidiana, nel senso
più terreno, materiale. Noi conosciamo
la vita di molti poeti, compositori, arti-
sti in difficoltà finanziarie, ma mai ab-
biamo trovato nella storia della lettera-
tura condizioni di vita simili a quelle in
cui ha vissuto Marina Cvetaeva". E se
settembre 2008 noidonne36
Poeta simbolista dell’essenza
Marina Cvetaeva
Cristina Carpinelli
Nata a Mosca nel 1892, figlia
di un filologo e storico dell'arte e
di una pianista di talento, muore
suicida ad Elabuga (Tatarstan)
nel 1941. A sette anni scrive già
poesie e a diciotto sono pubbli-
cati i suoi primi versi. Nel 1912
sposa S. Efron, da cui ha tre figli.
Durante l'inverno 1919-20, in
piena guerra civile, è costretta a
lasciare la figlia, Irina, in un orfa-
notrofio, dove la bambina muore
per denutrizione. Emigra nel
1922 (Berlino, Praga, Parigi) e ri-
torna in Russia nel 1939. Nell'a-
gosto del 1939, sua figlia Alja
viene arrestata e deportata in un
gulag. Ancora prima era stata
presa la sorella. In seguito è arre-
stato e fucilato il marito. Duran-
te l'invasione tedesca, la Cvetae-
va è evacuata ad Elabuga, dove,
insieme con il figlio Mur, vive
momenti di disperazione e di mi-
seria inimmaginabili. La domeni-
ca del 31 agosto 1941, rimasta
sola in casa, la Cvetaeva sale su
una sedia, rigira una corda attor-
no ad una trave e s'impicca. Nes-
suno andrà ai suoi funerali. Il suo
corpo è sepolto in una fossa co-
mune.
Marina Ivanovna Cvetaeva
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