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Numero 11 del 2007

Stop femminicidio


Foto: Stop femminicidio
PAGINA 34

Testi pagina 34

novembre 2007 noidonne34
La Nobel che rifiuta le etichette
Il premio Nobel per la letteratura que-st'anno è stato dato a Doris Lessing
con questa motivazione: "cantrice del-
l'esperienza femminile, che con scettici-
smo, passione e potere visionario ha
messo sotto esame una civiltà divisa".
Nata nel 1919 in Iran, dove rimane fino
all'età di sei anni, quando si trasferisce
nella Rhodesia del Sud, allora colonia
inglese e oggi repubblica dello Zimba-
we, dove vive sulla propria pelle le con-
seguenze di schematismi, ghettizzazioni
e intolleranze, pur stando dalla parte di
"bianchi" privilegiati.
A metà secolo lascia l'Africa, con
due figli piccoli, alla volta della scono-
sciuta patria inglese, dove iniziando a
scrivere romanzi trova in una originale
scrittura la propria complessa identità.
In una intervista di Leda Betti, (pub-
blicata su "Libertà" il 24 giugno 2003)
Doris Lessing si presenta come una ra-
gazzina che non ha frequentato buone
scuole, molto nevrotica, sempre in fuga
e autodidatta, che non è mai andata
d'accordo con sua madre alla quale,
ammette, "devo tutto": le deve l'inizia-
zione alla letteratura attraverso i classi-
ci che la madre riusciva a fare arrivare
"dall'Inghilterra, via mare, attraverso
Città del Capo"; le deve la difficile ca-
pacità di stare da un'altra parte rispet-
to a quello che la società si aspetta da
te. Uno stile classico e un andamento
narrativo mai banale e rivolto a una in-
dagine profonda della psicologia dei
singoli personaggi attraversano la sua
scrittura.
Le opere di Lessing, di ambiente afri-
cano o meno, respirano l'aria di più
continenti e le sue opinioni si discosta-
no da quelle della massa perché nei suoi
intensi quasi novanta anni di vita ha
imparato a pensare autonomamente e a
ridere di se stessa, come, secondo lei,
ogni cittadino e cittadina del mondo
Doris Lessing
Giovanna Providenti
Chissà quali incancellabili stigmate porterà nell'animo Caterina, la ragazza torinese oggi tren-
tenne, che sin dall'infanzia era vissuta in una gabbia metaforica, giacché il padre le proibiva
ogni contatto con altri esseri umani di sesso maschile. Eppure la maggior parte dei casi rispetta
un copione similare e davvero scadente. Caterina oggi è arrabbiata con le forze dell'ordine che
sminuiscono i casi in cui non sussiste violenza fisica, con i giudici che chiedono prove reali,
con gli assistenti sociali che non possono muoversi senza ordinanza del giudice, con gli avvo-
cati che si prestano alla difesa estrema di questi "uomini"pur essendo loro stesse madri e mogli e pur avendo capito be-
nissimo la situazione, con la finanza che non può agire per gli anni passati perché c'è un condono tombale. E tuttavia sta
pagando un prezzo altissimo perché questo padre padrone non solo le ha inibito un armonioso sviluppo psichico per cui
dovrebbe essere curato come caso psico-patologico ma le ha fatto oltretutto perdere un sacco di tempo assolutamente vi-
tale. Eppure quante di noi non conoscono e pur sapendo, non denunciano la presenza di questi uomini a cui egocentrica-
mente tutto è concesso e per i quali aver generato una figlia equivale ad avere piena potestà sulla sua vita? Si dice che la
giustizia in questi casi è lacunosa, per ovvi e scontati motivi. A me pare un baratro senza fondo! Un pugno lascia segni
visibili e tutto sommato guaribili, ma la violenza psicologica lascia tracce ben più profonde, perché non ci si può difende-
re, lascia ferite indelebili o malamente suturate da psicofarmaci e calmanti. Penso che noi donne in tutto questo siamo so-
le, abbandonate, a volte anche da chi sa, perché non conosce la propria responsabilità civile e così si è sistemato anche la
coscienza. Parliamone. Ho tanto atteso che qualcuno iniziasse a parlarne seriamente, ufficialmente, nelle late schiere di
governo. Come dice il ministro Pollastrini "Abbiamo bisogno di una nuova cultura". Il mondo va avanti tecnologicamente,
e la nostra cultura resta ferma al "segrega tua moglie, tu non sai perchè lo fai, ma lei sì". Da questa cultura hanno origine
molte delle discriminazioni che, ancora oggi, negano alle donne uno spazio di "pari diversità" nella società.
Facciamo curare i padri padroni
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