Numero 10 del 2008
Futuro (passato) prossimo
Testi pagina 34
ottobre 2008 noidonne34
C’è la Chiesa della Natività dove,secondo la tradizione cristiana,
con una stella argentata è indicato il
luogo dove sarebbe nato Gesù e, poco
lontano, il sole illumina la pietra chiara
di una moschea. L'armonia architettoni-
ca stride in una realtà di tensione co-
stante. Al centro della grande piazza,
Manger Square, sorge il Bethlehem Pea-
ce Center. Se è vero che i luoghi parlano,
in quel fazzoletto di Palestina si affolla-
no i simboli della storia dell'uomo - re-
mota e recente - carica di tutte le sue
contraddizioni. Ma sempre intenziona-
ta a rigenerarsi, anche nelle situazioni
più estreme e disperate. E' Betlemme, fe-
rita dal Muro che la isola e la deprime
economicamente ma che non le impedi-
sce di sperare in un futuro di pace e de-
mocrazia. Per oltrepassare il check-
point ci vuole un po' di tempo. In fila,
turisti o chiunque altro, attendono i
controlli per entrare in città. E' uno degli
oltre 600 varchi disseminati lungo le
centinaia di chilometri di cemento e fili
spinati: è il Muro che attraversa la West
Bank. 'Ragioni di sicurezza', si giustifi-
cano le autorità israeliane. L'effetto si-
curo è stato l'aumento della disoccupa-
zione e il progressivo impoverimento, re-
plicano i palestinesi che lavoravano a
Gerusalemme o vivevano grazie al turi-
smo, e costretti in gran numero ad emi-
grare. Ma prima ancora che danno eco-
nomico "il muro è un ostacolo psicologi-
co: nessun orizzonte è uguale a nessun
futuro". Jihan Anasta, direttrice del
Bethlehem Peace Center ( www.peacen-
ter.org ), lavora molto con i bambini -
che per effetto del Muro sono costretti in
classi di 45/50 alunni - e osserva che
"nei loro disegni c'è tanto nero, stanno
crescendo con l'idea della militarizza-
zione, della chiusura, dei soldati". Il
Centro è un punto di riferimento impor-
tante in città e per i villaggi. Per le don-
ne, come luogo di incontro e dialogo, e
per la pace, con attività nazionali ed in-
ternazionali. Uno degli strumenti utiliz-
zati è l'arte, come terapia e resistenza.
Per noi è davvero difficile capire co-
me possiate conciliare la normalità
quotidiana con i presidi militari, i
check-point, il Muro che taglia il
territorio….
Non è facile. La nostra non è una vi-
ta normale, ma dobbiamo credere che
questa situazione sia temporanea e dob-
biamo lavorare al meglio per preparare
condizioni migliori per le future genera-
zioni. E' una responsabilità che non pos-
siamo non assumerci, per non tornare
indietro. Quindi dobbiamo penetrare il
muro, dobbiamo penetrare le chiusure,
sorridendo anche oltre le nostre possibi-
lità di sopportazione. Dobbiamo con-
centrarci sui lati positivi e non pensare
in negativo.
E' possibile pensare ad una dimen-
sione privata, pensare al proprio fu-
turo, come donna e persona?
Il mio futuro e la mia nazione sono la
stessa cosa. Una Palestina libera e de-
mocratica potrebbe essere… è un sogno.
Era vicina durante i negoziati di Oslo,
ma in questo periodo ci appare sempre
più lontana. Però non abbiamo altro:
questo sogno vive dentro di noi e nessu-
no può togliercelo o estirparlo, neppure
questa difficile situazione. Certo, abbia-
mo alti e bassi… come tutte le persone
normali. Quando siamo ottimisti pen-
siamo al futuro, allo Stato e invece,
quando c'è lo sconforto, dobbiamo
prenderci cura di noi e aspettare che
passi.
Pensa che le donne possano giocare
un ruolo particolare nella difficile si-
tuazione della Palestina?
Le donne sono vittime due volte. A
causa della forte disoccupazione degli
uomini devono lavorare ma non hanno
istruzione e possono fare solo lavori
umili. Inoltre in questo contesto gli uo-
mini sono più violenti. Nonostante tut-
to le donne hanno fatto, stanno facendo
e faranno delle cose speciali. Oggi devo-
no essere protagoniste: sono psicologi-
camente e culturalmente più forti e ogni
volta che viene data loro la possibilità e
la forza riescono a fare un ottimo lavo-
ro. Poi penso che lavorare in team come
donne è più facile. Inoltre non dobbia-
mo dimenticare che le donne palestinesi
sono le uniche nel mondo arabo e nel
Medio Oriente - e sono state le prime - a
lavorare, quindi il nostro ruolo è stato
dominante. Dobbiamo valorizzare que-
sta realtà e la nostra storia.
Betlemme
Obiettivo è la pace
Tiziana Bartolini
la testimonianza di Jihan
Anasta, direttrice del
Bethlehem Peace Center