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Numero 4 del 2016

Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali


Foto: Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali
PAGINA 34

Testi pagina 34

32 Aprile-Maggio 2016
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LE DONNE DEVONO PARTECIPARE
ALLA COSTRUZIONE DELLA PACE
Intervista ad Ala Ali
Della delegazione irachena invitata dall’ong “Un ponte per” giunta a Roma a marzo faceva parte anche Ala Ali,
ricercatrice curda irachena, esperta in analisi del conflitto,
strategie di peacebuilding e democratizzazione con focus di
genere. Durante l’incontro avvenuto presso la Casa Interna-
zionale delle donne, le sue prime parole sono state contro la
guerra che lei conosce da quando era bambina. In Iraq solo
dal 2003 a oggi si contano 500mila morti tra i civili. Un nume-
ro talmente enorme che da
solo dovrebbe servire da
deterrente per nuovi inter-
venti militari. “Non è con gli
eserciti e le bombe che si
ferma Daesh ma con un la-
voro politico e istituzionale
basato sulle proposte della
popolazione irachena, ca-
pace, dopo anni di guerra,
di formulare le strategie
più efficaci affinché il con-
flitto si risolva”. Oggi molte
donne sono coinvolte nel
processo di pace. Oltre
ottanta organizzazioni, for-
mate da attiviste ma anche
da tante donne normali,
hanno sensibilizzato l’opinione pubblica internazionale sul-
le condizioni che le donne vivono nel Kurdistan iracheno e
nei tanti campi profughi. Solo in Iraq si contano, secondo le
Nazioni Unite, oltre tre milioni e mezzo di rifugiati. Di questi
circa 900mila (sebbene altre stime parlino di oltre un milione
e mezzo) vivono nel Kurdistan iracheno e oltre un quarto di
loro è siriano. Grazie al lavoro di queste organizzazioni l’Iraq
è stato il primo paese a recepire la raccomandazione 1325
dell’ONU che riconosce il ruolo fondamentale delle donne
nella costruzione dei processi di pace”. Ala ha curato impor-
tanti analisi e report e si è occupata moltissimo di raccontare
la resistenza delle donne all’estremismo. Una pratica quoti-
diana come quella che ha portato una irachena di religione
sunnita a proteggere quattro soldati sciiti spacciandoli come
mariti delle sue figlie. Con loro, Um Khalid, questo il nome
della donna, ha attraversato sette check-point dell’ISIS ri-
uscendo a farli uscire dall’Iraq ed evitando che venissero
scoperti, fatti prigionieri e uccisi. Quando i miliziani di Daesh
hanno saputo cosa aveva fatto, per punirla hanno ucciso il
suo unico figlio maschio. “Sono tante le storie di coraggio
al femminile - commenta Ala -, tantissime donne e bambine
sono state violentate e hanno subito traumi ma non ricevono
alcuna assistenza. In questo caso non basta nemmeno l’a-
iuto esterno, servono operatrici in grado di parlare la lingua
delle donne che vivono nei campi. È necessario quindi che
le stesse donne irachene vengano istruite e possano occu-
parsi di assistere le altre”.
Per cosa combattono le donne irachene?
Si battono per i loro diritti, per l’uguaglianza, la giustizia e
la pace. Vorrebbero non essere più discriminate, vivere in
pace, smettere di avere paura e di sentirsi in pericolo. Vo-
gliono uscire la sera e sentirsi al sicuro, sia fuori che dentro
le loro case.
Cosa possono fare la comunità internazionale e le fem-
ministe occidentali per aiutare le donne che vivono nel
kurdistan iracheno?
È importante che l’attenzione si focalizzi sulla reale situa-
zione delle irachene e curdo-irachene. Servirebbe una
campagna internazionale in grado di spiegare come vera-
mente vivono le donne nei campi profughi e altrove, quanta
sofferenza è presente nella loro vita quotidiana.
Cosa pensa delle donne curde di kobane che imbracciano
il fucile?
Provo per loro sentimenti contrastanti. Sono emotivamente
toccata dal loro coraggio. Al tempo stesso però sono for-
temente contro la guerra e credo che le attività militari non
portino alla pace. Vivo un conflitto dentro di me perché da
un lato sono orgogliosa di loro, dall’altro ne ho compassio-
ne. Mi piacerebbe che avessero una vita normale come
tutte le ragazze di diciassette, diciotto anni, che riceves-
sero un’istruzione e che si potessero costruire un futuro.
Quindi non vorrei che venissero incoraggiate a combattere,
ma aiutate ad avere una vita normale.
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