Numero 4 del 2008
UDI: 50E50, donne e rappresentanze
Testi pagina 33
noidonne aprile 2008 33
cose buone che succedono nel mondo".
I media e le donne che lavorano nei
media devono fare la loro parte per co-
struire la pace, anche se al governo del-
le notizie ci sono sempre gli uomini.
"Non è sufficiente avere posti di pote-
re, l'importante è penetrare con il fem-
minile". Le sagge parole di Dena Merrian
ancora vibrano, a distanza di giorni. E
gli uomini? Gli uomini hanno in mano
la chiave per capire che l'anima dell'uni-
verso è il materno che crea la vita e che
vuole solo la pace, ma sono sordi e cie-
chi e forse, come dice un antico detto in-
diano, non si rendono conto che la vita
è solo un ponte da attraversare, e non
bisogna costruirci sopra una casa.
Imparare
dal sud del mondo
Giovanna Providenti
Per raccontare il Summit di Jaipur
partirei dai contrasti. Quelli dell'India:
estrema ricchezza ed estrema povertà,
grande democrazia e divisioni in classi
ancora feudale, tecnologia informatica
altamente sofisticata e ciclostili a ma-
novella agli angoli delle strade per
stampare biglietti di inviti a nozze. E
quelli del Summit di Jaipur, ambientato
in un albergo di alta classe, predisposto
di confortanti hall con aria condiziona-
ta, dove si svolgevano i gruppi di lavo-
ro pomeridiano, e nel cui ampio prato
verde era stata allestita una grande ten-
da, per i momenti assembleari, con tan-
to di ricamature luccicanti e ventilatori
che si inceppavano nei pendenti di seta,
in netto contrasto con l'India mendican-
te appena fuori dall'elegante cancello.
Ma i contrasti di cui più mi interessa
raccontare sono quelli emersi nel corso
della conferenza. Già dal primo giorno,
dedicato alla condivisione di preghiere,
letture, meditazioni provenienti da dif-
ferenti culture e tradizioni religiose, do-
po i toni pacati, spesso non privi di una
certa retorica buonista che l'avevano
preceduta, Nokuzola Mndende, una
Xhosa sud-africana docente di studi re-
ligiosi africani all'Università di Cape
Town e fondatrice dell'Icamagu Institu-
te, vestita e truccata da indigena, intro-
ducendo il suo discorso con una breve
danza propiziatoria, ha alzato la voce
reclamando l'importanza delle culture e
religioni tradizionali delle minoranze
africane. Questo intervento, cui ne sono
seguiti altri simili, ha fatto emergere la
presenza di almeno due anime: quella
di chi sentiva di essere lì per dare vita a
un messaggio di conciliazione in un
mondo in guerra e quella di chi voleva
esserci per dar voce alle proprie ragioni
sfidando antichi e nuovi colonialismi.
Non si tratta di anime necessariamente
in contrasto tra loro, ma di "messe a
fuoco" su priorità differenti che rischia-
no di sfociare da una parte in vuota re-
torica e dall'altra in quella forma di
rabbia e dignità al tempo stesso, pre-
senti in moltissime donne e uomini del
Sud del mondo.
Nel "circle" sul tema "il ruolo del Ma-
scolino nel fare strada al Femminino"
contrasti ed equivoci sono stati a vari li-
velli. Prima delle relazioni prestabilite
uno statunitense che lavora in India ha
"pragmaticamente" domandato, avendo
verificato la difficoltà delle donne ad
emergere in ambito professionale, cosa
avrebbe potuto fare lui personalmente:
tirarsi indietro? incoraggiare le colle-
ghe? cambiare modalità di gestire il la-
voro? Ma la discussione è poi andata
avanti su tutt'altro piano. L'ha introdot-
ta Swami Paramatmananda, maestro
Hindu, immediatamente criticato da
una donna indiana, non prevista in sca-
letta, che ha fatto presente come i valo-
ri femminili cui voleva far strada lo
Swami fossero gli stessi che da tempi im-
memorabili sono causa di tremende in-
giustizie a scapito delle donne. Una gio-
vane donna indiana ha alzato la mano
dopo di lei, in difesa dello Swami: io che
sono nata oggi, ha detto, ho dovuto fa-
re il militare e ho imparato a vestirmi
come un maschio e non riesco a capire
più dov'è la femminilità in me. Come
faccio a trovare il Femminino in un
mondo così maschilizzato?
La mattinata più toccante di tutto il
Summit è stata sicuramente quella dedi-
cata all'ascolto di racconti dalle zone in
conflitto: Israele-Palestina, Africa, Asia.
Sentire raccontare la guerra dal punto
di vista di chi ne subisce le conseguenze
ha il potere di far perdere ogni significa-
to a qualsivoglia ragion politica.
E sentirla raccontare da chi vi è nato
e vi lavora per migliorarla fa scoprire
un'Africa ricca di importanti realtà che,
dal basso, ne stanno lentamente trasfor-
mando la condizione. 'Il Kenya è un
paese bellissimo - ha detto Joyce Lwan-
da Oneko - ricco di potenzialità che
dobbiamo imparare a conoscere.' Per
questo ha lasciato alle sue spalle la lau-
rea in legge ed il posto di insegnante a
Nairobi per fondare l'organizzazione
non governativa "Mama na Dada Afri-
ca", che svolge la sua attività nei villag-
gi (dove vive la maggioranza della po-
polazione keniota in condizioni di estre-
ma povertà, senza acqua potabile e con
un altissimo tasso di malati di AIDS) ed
ha propositi ambiziosi: migliorare il be-
nessere delle ragazze e delle donne in
maniera olistica attraverso progetti au-
to sostenibili rivolti alla realizzazione
del loro pieno potenziale e all'espressio-
ne delle loro emozioni, offrendo attività
e svaghi in cui possano impiegare le lo-
ro energie efficacemente. Ogni interve-
nuta/o alla sessione dedicata all'Africa
ha ribadito come questo paese non ha
certo bisogno di importare missioni,
aiuti umanitari o progetti di sviluppo
scritti a tavolino in tutt'altra parte del
mondo, ma di crescere in piena autono-
mia facendo uso delle proprie risorse e
prendendo energie da quella miracolosa
forza d'animo che è propria di tutti gli
africani. La stessa che Philip Hellmich,
unico statunitense presente sul palco,
ha riscontrato nella sua decennale espe-
rienza di volontario, e che lo fa conclu-
dere così "possiamo solo imparare dal-
l'Africa".
Foto di Marina Praturlon
dall'India un messaggio
di pace che può essere
diffuso e sostenuto dalle
donne, portatrici di vita
e di amore tra le persone.
Più di cinquecento
le partecipanti
da tutto il mondo