Numero 12 del 2008
E tu di che Natale sei?
Testi pagina 32
dicembre 2008 noidonne32
Non volevo partire. L'idea di passareotto giorni nell'Hammada la parte
più inospitale del deserto del Sahara
non mi allettava. Dopo molti giorni di
trattative, di manifestazioni, di sciope-
ri, pure il deserto ! Per me era davvero
troppo. Eppoi dove erano i campi profu-
ghi presso i quali sarei dovuta stare?
Nemmeno la cartina geografica li se-
gnalava.
Ma qualcosa nel profondo mi spinge-
va ad andare, a toccare con mano la vi-
ta del popolo Saharawi che da ben 35
anni lotta per la propria indipendenza e
autodeterminazione.
Mi ero occupata di loro all'Universi-
tà studiando questo come un prototipo
di formazione di uno stato attraverso
un processo di autodeterminazione. Ma
possibile che dopo tanti anni le cose
non fossero ancora cambiate?
E così tra domande e perplessità mi
sono avviata verso l'aeroporto per co-
minciare un lungo viaggio senza neppu-
re immaginare cosa avrei trovato.
I campi profughi del popolo Sahara-
wi si trovano nel cuore dell'Algeria do-
po la cittadina di Tindouf ultima rocca-
forte prima del confine con il Marocco.
E' un territorio che ha raccolto i Sahara-
wi in fuga e dove questo popolo che ri-
vendica la propria indipendenza ha ca-
parbiamente costruito, in condizioni del
tutto impossibili, un vero e proprio as-
setto di comunità statuale.
I Saharawi abitavano la terra del Sa-
hara occidentale, colonia spagnola, da
cui gli spagnoli si erano ritirati nel
1975. All'occupazione della loro terra
da parte del Marocco e della Maurita-
nia, avevano reagito con una guerra co-
me solo i poveri sanno fare: poche e po-
vere armi, ma con la forza della dispe-
razione di chi si vede sottrarre la stessa
propria esistenza.
Un accordo, poi, con la Mauritania
ed il cessate il fuoco con il Marocco ave-
vano definito la situazione che è giunta
fino a noi e la mediazione delle Nazioni
Unite aveva individuato in un referen-
dum di autodeterminazione la formula
di diritto internazionale per dare solu-
zione al conflitto.
Così non è stato perché il referendum
non è stato realizzato nonostante le
continue pressioni della popolazione Sa-
harawi e così anno dopo anno, questa
gente umile e dignitosa si è attrezzata
per sopravvivere alle condizioni proibi-
tive del deserto sempre in attesa di po-
tere un giorno ritornare da dove era ve-
nuta e far vivere il proprio stato.
A chi affidare il compito di tenere in-
sieme questa comunità di derivazione
nomade mentre gli uomini erano al fron-
te? A chi consegnare il bisogno di man-
tenere le tradizioni, di educare il popolo
del futuro, di gestire i bisogni più ele-
mentari di alimentazione, di cura?
Le donne Saharawi sono state e sono
tutto questo.
Rappresentano l'ossatura di questa
civiltà: sono dignitose, forti, allegre. La
loro presenza nella società non è nasco-
sta, ma evidente e forte.
Attendono alla cura della famiglia,
ma molte lavorano nei poveri poliam-
bulatori che grazie alla cooperazione
internazionale hanno potuto mettere su.
Insegnano nelle scuole che frotte di vo-
lontari e aiuti di solidarietà contribui-
scono a mantenere in piedi nonostante
le tempeste di sabbia o il ghibli, vero fla-
gello nel deserto.
Sono vestite con i loro colori vivaci e,
con qualche vezzosità, si coprono spes-
so le mani con i guanti affinché il forte
sole del deserto non le renda troppo scu-
re. I loro abiti, le melfe, altro non sono
che un lungo drappo che sanno avvol-
gere intorno al corpo e che le rende fem-
minili e flessuose.
E' un drappo che non ha né tagli, né
cuciture, perché nella dura vita noma-
de, doveva e deve ancora servire come
lenzuolo o tovaglia o altro ancora per
occupare il minor posto possibile in
groppa al cammello.
Eppure, in questo mondo impossibile
sorridono e, accanto alle attività più
domestiche, molte di loro viaggiano per
portare negli altri paesi la loro storia,
per cercare solidarietà verso la loro cau-
sa. Si sono date una organizzazione na-
zionale, l'Unione nazionale delle donne
Saharawi e le ho viste mentre con l'aiu-
to di una cooperante proveniente dalla
Spagna lavoravano sulla loro autosti-
ma e sull'organizzazione della loro pre-
senza nelle diverse aree della regione,
ma ho potuto anche vedere come orga-
nizzano attività di tessitura da offrire e
vendere ai visitatori o come nel sinda-
cato locale, l'UGTSARIO, rappresentano
Africa
Donne Saharawi
* Anna Salfi