Numero 10 del 2008
Futuro (passato) prossimo
Testi pagina 30
Il Caucaso è di nuovo in fiamme. Neiprimi giorni d'agosto la provincia del-
l'Ossezia del Sud, appartenente alla re-
pubblica della Georgia e autoproclama-
tasi indipendente con due referendum, è
stata motivo di scontri armati che han-
no visto fronteggiarsi l'esercito russo,
quello georgiano e le milizie separatiste
(filo-russe) della
stessa Ossezia del
Sud. Parte del ter-
ritorio georgiano è
stata posta sotto
il controllo delle
truppe di Mosca
intervenute a se-
guito dei bombar-
damenti georgiani
su Tskhinvali, ca-
pitale dell'Ossezia
del Sud. Il capoluogo sudosseto è stato
quasi raso al suolo. Il presidente del-
l'Ossezia del Sud, E. Kokoity, ha dichia-
rato che i morti a Tskhinvali sono stati
duemila. L'attacco georgiano è stato
giustificato dal presidente della Geor-
gia, M. Saakasvhili, come risposta al re-
gime criminale e corrotto dei separatisti
osseti. Ha, in più, definito la ritorsione
del raid russo una vera e propria inva-
sione, che ha violato la sovranità di uno
Stato, tale da dichiarare lo "stato di
guerra". Il conflitto ha rischiato di am-
pliarsi anche all'altra provincia seces-
sionista filorussa dell'Abkhazia.
Le azioni militari hanno causato
danni notevoli in Ossezia del Sud e in
altre parti della Georgia, e molte vittime
tra i civili. I combattimenti hanno, inol-
tre, costretto alla fuga circa 128.000
persone, sfollate in gran parte in altre
zone della Georgia, mentre 30.000 sono
i profughi ossetini scappati nell'Ossezia
del Nord (in territorio russo), attraverso
il tunnel di Roksky. Donne e bambini
rappresentano la maggioranza della po-
polazione in fuga (circa il 60% degli
sfollati interni e l'80% tra i profughi ol-
tre confine). Tra gli sfollati interni ci so-
no anche donne incinte e con neonati,
che sono stati sistemati in 170 campi
provvisori allestiti in strutture pubbli-
che: asili, scuole, ospedali. Per quanto
riguarda, invece, i
profughi oltre con-
fine, questi hanno
attraversato la
frontiera, raggiun-
gendo la Federa-
zione Russa e tro-
vando tempora-
neamente riparo in
campi di raccolta
per sfollati, presso
alcune famiglie
dell'Ossezia del Nord e in altre province
della Russia meridionale. Questa onda-
ta di fuggiaschi si somma ai 220.000
sfollati già presenti in Georgia, marto-
riata da tempo dal gioco delle grandi
potenze e dalla manipolazione delle
identità nazionali.
Eppure, prima dell'esplosione di que-
st'ultimo conflitto non era palpabile tra
la popolazione alcuna tensione. In base
alle statistiche del paese risulta che il 70
per cento dei matrimoni nell'Ossezia del
Sud sono misti, tra osseti e georgiani. Le
strette relazioni tra le due comunità so-
no pure confermate dalla presenza di le-
gami di parentela. Molti georgiani han-
no parenti nell'Ossezia meridionale, e
molti sono i villaggi dove le due etnie
(georgiana e osseta) convivono in pace.
Afferma un giovane georgiano: "Saakas-
vhili fa combattere i georgiani contro i
propri amici e parenti in Ossezia". La
questione etnica, che può essere stata ef-
fettivamente la causa del conflitto del
1992, ha oggi un peso minore, benché le
autorità indipendentiste ossete si siano
sempre appellate al principio di autode-
terminazione dei popoli, al desiderio del
popolo osseto, russofono e apertamente
filorusso, di entrare a far parte della Fe-
derazione Russa.
La volontà di secessione dell'Abkha-
zia e dell'Ossezia del Sud deriva da un
insieme di fattori storici e geopolitici. E'
la conseguenza di strategie del conflitto
e di guerre per il controllo di risorse e
corridoi energetici e di importanti rotte
di transito. Attraverso la Georgia passa
l'oleodotto BTC (Bakù-Tbilisi-Ceyhan),
definito la "Via della seta del XXI seco-
lo", costruito per trasportare il petrolio
azero dal mar Caspio alla costa turca
del mar Mediterraneo. Il consorzio che
gestisce l'oleodotto è costituito da mul-
tinazionali americane, israeliane ed eu-
ropee. Il gasdotto del Caucaso meridio-
nale, gestito dalla British Petroleum,
trasporta gas dall'Azerbaigian sino ad
Erzerum in Armenia. L'oleodotto Bakù-
Supsa, gestito da un trust internaziona-
le per lo sfruttamento dei giacimenti del
Caspio, cui partecipano diversi paesi
occidentali, conduce attraverso le mon-
tagne del Caucaso il petrolio dall'Azer-
baigian sino al porto georgiano di Sup-
sa sul Mar Nero. Dal porto di Supsa le
petroliere si dirigono verso i terminali in
Turchia, Romania, Bulgaria, ma anche
in Moldavia e Ucraina. Le ex repubbli-
che sovietiche hanno in questo modo ri-
dotto la loro dipendenza energetica da
Mosca. Tutti questi corridoi energetici
tagliano fuori la Russia dalle rotte post-
sovietiche dell'oro nero e del gas. Alla
Russia rimane il controllo dell'oleodotto
Bakù-Novorossiysk, che valica un terri-
torio con il quale ha avuto in passato
sanguinosi conflitti: la Cecenia.
Siamo, insomma, in presenza di guer-
re d'affari, dove i russi da tempo cerca-
ottobre 2008 noidonne30
Caucaso in fiamme
Guerre etniche? No, guerre d’affari
Cristina Carpinelli