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Numero 2 del 2012

Lavorare per 5 euro l'ora


Foto: Lavorare per 5 euro l'ora
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Testi pagina 3

LAVO RO
LOW C O ST

a soglia dei cinque euro l’ora è un’unità di
misura, teorica, che abbiamo fissato ipo-
tizzando uno stipendio medio di (circa)
mille euro al mese per un impiego svolto
in giornate lavorative di (circa) otto ore.
Per come si presenta, oggi, il mercato del lavoro, sap-
piamo che le variabili rispetto a una situazione tipo
sono talmente tante da aver determinato un capovol-
gimento per cui la regola è l’eccezione e tutte le altre
possibili condizioni sono diventate regola in sé. Non
basta ancora: si chiede più flessibilità perché, ci di-
cono, il mondo del lavoro è diviso tra chi è, oppure
non è, garantito. Ma anche questo comincia a non es—
sere più così vero, considerato che la morìa di posti di
lavoro ‘garantiti’ è endemica e attraversa tutti i settori.
Nella maggior parte dei casi, chi è licenziata/o un
nuovo posto non lo ritrova affatto e, se è fortunata/o,
deve accontentarsi di qualche lavoretto mal pagato e
spesso in nero. La disperazione di centinaia di migliaia
di persone è sempre più pressante, ma la sensazione
diffusa è di una sostanziale impotenza di fronte a una
crisi economica e sistemica di cui non si vede la fine.
E i cui contorni sono sfumati in ragione della trasver-
salità, della proporzione e dell’estensione. La dimen-
sione planetaria di tale sconquasso è destabilizzante
anche perché evidenzia brutalmente l’inadeguatezza
degli strumenti a disposizione per farvi fronte e per-
sino per comprenderne le varie implicazioni.
Abbiamo a che fare con un immateriale mostro mul-
tiforme i cui colpi si ripercuotono sulla concretezza
delle nostre vite, togliendoci soldi e sicurezze. Incol—
pare un capitalismo miope e mercati finanziari arro-
ganti e impuniti non ci fa avanzare e opporre
resistenza per parare i colpi o limitare i danni è indi-
spensabile, ma non basta. Occorre immaginare pro-
spettive di un futuro sostenibile, o che possa essere
almeno tollerabile. A partire da una nuova organizza-
zione del lavoro, che non può essere costruita igno-
rando i diritti minimi e la dignità delle persone. In

questo l’Unione europea è una base di partenza, a
patto che Bruxelles e Strasburgo si facciano garanti
delle democrazie e della qualità della vita, che scel-
gano di difendere le moltitudini e non le oligarchie,
che abbiano come faro di riferimento le persone e non
le banche. A patto che a decidere non siano i buro-
crati, ma gli eletti e le elette, che a guidare le scelte
non siano teorie astratte, ma le possibilità di attua-
zione. Con l’interessante studio di Maria Grazia Ros-
silli, di cui pubblichiamo un estratto in questo numero
- il testo integrale è in wwwnoidonneorg" -, inten-
diamo dare un contributo nell’acquisizione delle co-
noscenze indispensabili per comprendere i termini
della questione. Precarietà, sicurezza, flessibilità, ga-
ranzie, sono parole prive di senso se usate a caso o
senza cognizione. Restituendo valore alle parole pos—
siamo restituire anche valore al loro significato.
Quindi del lavoro, che si parli di retribuzioni o di or-
ganizzazione, non possiamo accettare versioni low
cost, nell’accezione consumistica di basso prezzo. So-
prattutto se a determinare tali condizioni hanno con-
tribuito disposizioni europee che i vari Paesi hanno
poi messo in atto. Le norme tracciate dall’UE hanno
tenuto conto dei numeri, dei volumi e delle percen-
tuali, ma è evidente il fallimento della quantità come
parametro unico. Forse è arrivato il momento di cam-
biare il punto di vista e di considerare, del lavoro, una
dimensione qualitativa che comprenda anche l’im-
patto su persone e ambiente. Un umanesimo del la-
voro, insomma, che metta al centro le persone e non i
profitti, che veda nell’equilibrio e nel ben essere
l’obiettivo e il senso del lavoro stesso. I

Tiziana Bartolz'm’

*http://www.noidonneorg/files/allegati/LavoroiDonneiEuropaiRossillipdf

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noidonne | febbraio | 2012 0
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