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Numero 6 del 2007

Bambini nel mondo sotto tutela


Foto: Bambini nel mondo sotto tutela
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Testi pagina 29

maschi e la madre morta durante il suo
parto) fino a che non si è recato in Rus-
sia, per lavoro. I volti aperti e il corpo
visibile di tutte quelle donne lo stavano
facendo impazzire, così ha deciso di
sposare una di loro. Adesso, tornato con
lei in Yemen, ha tre figli adolescenti che
sono il doppio di lui e un padre molto
critico (tra il serio e il faceto gli incute il
sospetto che quei figli non siano i suoi)
che avrebbe sperato in un matrimonio
più "puro".
Un altro giovane uomo di Socotra,
con cui ho parlato a lungo, dapprima
titubante, mi ha infine detto apertamen-
te come stavano le cose: noi donne oc-
cidentali siamo considerate impure e
cattivo presagio da uomini e donne ara-
bi. Il motivo me lo ha spiegato raccon-
tandomi la leggenda di una donna che,
non avendo esitato a dissetare un ange-
lo apparsole in abiti di pezzente, riceve
in dono una sorgente d'acqua infinita,
purché ne avesse saputo preservare il
valore. L'acqua, simbolo di fertilità, non
va dispersa, non va sprecata: è un dono
da usare per continuare a donare altra
vita. "Per una donna di qua" - ha ag-
giunto - "è inconcepibile che una donna
rimanga senza figli, per loro aridità del-
la terra e sterilità sono la stessa cosa".
Andavo capendo che la difficoltà a
riuscire a interloquire con le donne ye-
menite dipendeva dal mio portato sim-
bolico di donna impura e arida. Per in-
contrarle avrei dovuto cercare di fare
qualcosa per sembrare loro meno mar-
ziana: coprirmi di più (nonostante il
caldo) e portare il velo, quantomeno
nello stile a volto scoperto.
Restava lo scoglio della lingua, par-
lando loro solo l'arabo. Scoglio facil-
mente superato da una delle prime don-
ne con cui sono entrata in contatto, e
che mi ha dato la chiave per incontrare
anche le altre. È stato in un villaggio do-
ve la jeep in cui viaggiavamo si è fer-
mata per fare rifornimento: dapprima
sono stata circondata dai soliti bambi-
ni e bambine che, novelli re magi, ti of-
frono incenso mirra ed hennè. Poi ho vi-
sto che dal buco di un muro uscivano
mani femminili che mi invitavano a en-
trare. Era per via del mio velo: non era
così che andava messo! Allora mi sono
lasciata trasformare, spogliare e rivesti-
re, finché, contente del loro operato,
hanno tirato fuori uno specchietto. Nel
frattempo io ho potuto ammirare l'ordi-
ne, la pulizia e la cura della loro casa,
e, sopratutto, l'eleganza del vestito sot-
to il manto nero. Tutte sotto hanno ve-
stiti coloratissimi, e spesso sono trucca-
te, ingioiellate e hanno le braccia orna-
te da bellissimi disegni.
Ci sono state altre donne che sono ri-
uscita ad avvicinare, usando sempre il
metodo di chiedere loro se per favore po-
tevano aggiustarmi il velo, cosa che fa-
cevano sempre con piacere, non evitan-
do un muto e intenso colloquio tra i no-
stri sguardi. Attraverso gli occhi, nel
mondo femminile della non parola, ci
siamo dette molte cose, percependo co-
munanza tra noi, oltre l'abisso che se-
para i nostri due pianeti. Non saprei di-
re esattamente cosa ci siamo comunica-
te, di certo una soddisfazione reciproca
di curiosità. Ma anche di interscambia-
bilità. Io potevo essere come lei e lei co-
me me.
La donna incontrata che più mi ha
colpita è stata una giovanissima donna
incinta, che tutta ammirata dalla bel-
lezza del mio velo (comprato a Sana'a)
voleva scambiare il suo col mio e vole-
va persino che io restassi lì con lei, la-
sciando andare via le mie amiche. Se
non avessi anch'io due figli, ho cercato
di dirle, resterei volentieri qui con te ad
assistere al tuo parto: scambiandoci il
velo delle nostre conoscenze. Ho capito
che per potere avvicinare una donna ve-
lata dovevo partire dalla mia disponibi-
lità a essere come lei e che era inutile
domandarle perché porta il velo, come
si sente dentro a questo velo, o invitarla
a toglierlo.
Certo vi è molta differenza tra le
donne di villaggi e le donne di città e tra
una classe sociale e l'altra. Ma lo scar-
to vero avviene nelle donne che hanno
l'opportunità di studiare o avere un la-
voro nel "pubblico". Come Sheika, una
delle quattro donne selezionate, su 17
che ne avevano fatto richiesta, per por-
tare avanti un progetto di sviluppo del
"Socotra Conservation and Develop-
ment Program (SCDP)": porta il velo ne-
ro integrale, ventidue anni e ancora non
sposata (esempio raro). Il fatto di svol-
gere questo lavoro, mi ha detto, ha cam-
biato completamente la visione della
sua vita. Lei prima nemmeno immagi-
nava che certe cose esistessero o fossero
possibili per lei. E, scandalizzando l'uo-
mo che traduceva dall'arabo all'inglese,
mi ha detto, commossa e intimidita, che
le piace molto quello che fa alla coope-
rativa e che vorrebbe potere non sposar-
si. Sono tornata a casa con la persua-
sione che il cambiamento di una società
repressiva come quella yemenita è in
mano alle donne, che sempre in numero
maggiore stanno prendendo consapevo-
lezza delle proprie potenzialità e stru-
menti di dissenso, cambiando il loro
paese passo dopo passo. In un bellissi-
mo documentario di Fibi Kraus "Haram.
Yemen the hidden half speaks" (diffuso
dalla onlus Ricerca e Cooperazione)
viene raccontata la storia di alcune
donne yemenite che grazie alla loro de-
terminazione sono riuscite a cambiare
le proprie vite e la mentalità dei loro uo-
mini. Tra queste Amal, del Sister Arabic
Forum for human Rights, che a costo di
enormi sacrifici personali si è liberata
dai pregiudizi famigliari ed è ora attiva
per i diritti umani di tutte le donne. Ed
Aisha, divenuta medica nonostante la
violenta opposizione iniziale del padre,
che ha infine modificato le proprie rigi-
dità, e adesso aiuta anche altri uomini
a riconoscere il valore delle proprie fi-
glie. All'inizio del documentario compa-
re Aisha: "gli uomini prendono le deci-
sioni sulle nostre vite -dice in arabo alle
donne che l'ascoltano - ma noi possia-
mo e dobbiamo indicare loro la strada,
con la nostra insistenza".
noidonne giugno 2007 29
diario di un viaggio in Yemen,
che doveva essere una
vacanza, ma che invece...
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