Numero 9 del 2009
Dialoghi impossibili
Testi pagina 29
noidonne settembre 2009 29
Dopo la storica visita di Obama inGhana abbiamo sentito le impres-
sioni di Samia Nkrumah, deputata gha-
nese e figlia di uno dei più grandi leader
panafricanisti, sul futuro del continente.
Il Presidente Obama ha definito il
Ghana un esempio di democrazia.
Cosa puoi raccontarci sul tuo paese?
Obama è un esempio di umanità, di
dignità, di dialogo. Il suo insegnamento
rafforza la nostra determinazione a pro-
seguire le battaglie per la giustizia so-
ciale, l'uguaglianza e una reale demo-
crazia che parta dall'istruzione per tut-
ti, dalla parità tra uomini e donne, dai
diritti umani. La sua visita è stato un in-
citamento verso questa strada, l'unica
che può restituire il Ghana alla sua vo-
cazione di stato libero e per gli ideali di
unità di tutto il continente; segna un'era
nuova ed è certamente un buonissimo
auspicio per il futuro.
Allargando il panorama all'intero
continente: quali sono gli elementi di
maggiore criticità?
Senza entrare nei dettagli delle singo-
le situazioni, che richiederebbero analisi
dettagliate, mi preme veicolare il mes-
saggio lanciato da mio padre Kwame.
Ho impiegato gli ultimi dieci, trascorsi
in Italia, per realizzare le condizioni e
lavorare in Ghana al progetto panafri-
cano sognato da lui. Questa è ancora
oggi la migliore risposta alle sfide che
abbiamo di fronte: la corruzione, la po-
vertà, l'analfabetismo. Il distretto del Jo-
moro in cui sono stata eletta è uno dei
più lontani e isolati, non c' è nemmeno
l'elettricità. Sono orgogliosa di partire
da lì e di proseguire tenendo bene in
mente i problemi concreti, difficilissimi
della realtà africana e gli ideali più alti
che ci possono guidare per risolverli.
Quale è la maggiore sfida
che attende il tuo conti-
nente e quale il ruolo del-
le donne?
La sfida più grande è di
far tornare l'Africa agli afri-
cani. Acquistare una nuova
consapevolezza della no-
stra identità e delle poten-
zialità che abbiamo, uniti.
Dobbiamo essere orgogliosi
di chi siamo, del nostro ci-
bo, delle nostre tradizioni. E
finalmente essere capaci di
creare la nostra economia,
senza più dipendere dagli
aiuti dell'occidente. Poi c' è
il tema delle donne, della lo-
ro reale emancipazione. La
questione è molto semplice:
la battaglia delle donne è la
stessa dell'intera Africa.
L’Africa agli africani
Samia Nkrumah
Nadia Angelucci
con la visita di Obama si riaccendono le speranze
concetti e autori di Emanuela Irace
Chi ha paura dell’Iran?
“Noi non siamo legislatori, ma storiografi dello spirito umano”
Fichte
Ci vorrebbe la pazienza di un "Ingegner Fantasia" per metter mano a quel
Pasticciaccio di Teheran. A tre mesi dalle elezioni di giugno la matassa iraniana
resta imbrogliatissima. O per dirla con Gadda una "vera cagnara". All'interno come
all'esterno. Politica e religione. Sudditanza e resistenza. Conservatori e riformisti.
Difficile venirne a capo senza entrare nel dogma dell'ideologia. Eppure se invece di
proporre un etica, come scrive Lèvinas, tentassimo di cercarne il senso la lettura
degli eventi cambierebbe. Ci vuole pazienza e coraggio per affrontare la complessi-
tà e uno sforzo di memoria per ricordare quanto volubili e arroganti siano stati i
diktat verso dittatori trasformati da comodi alleati in pericolosi nemici da elimina-
re. L'Iran degli Ayatollah rappresenta una sfida per gli interessi petroliferi
dell'Occidente ma è una pedina insopprimibile nell'equilibrio tra regioni del Medio
Oriente. Trent'anni di resistenza e autonomia dalla Pax Americana possono com-
battersi anche attraverso il grimaldello dell'etica. Quella che utilizza la difesa dei
diritti umani e dell'emancipazione femminile per controllare paesi che sfuggono alla
dipendenza di un Occidente campione di democrazia. E'il cosiddetto Imperialismo
Umanitario teorizzato da Jean Bricmont - allievo di Russell e Chomski - la nuova
forma di colonialismo post-bipolare che trova resa e spazio in un'opinione pubbli-
ca addestrata a percepire il mondo come diviso tra buoni e cattivi. Una partita
truccata. Con regole che cambiano a seconda dell'utilità di una geopolitica made in
Washington con centralina a Tel Aviv. Nel silenzio di una Europa che non c'è, come
ha dimostrato nella guerra di Gaza, ma che è riuscita ad essere presentissima a
Teheran attraverso un' informazione armata e tentacolare. La stessa che ha scredi-
tato dall'esterno la legge islamica. Si chiamano "Velayat-e-Faquih", i principi fonda-
tivi della Repubblica nata nel 1979. Metterli in dubbio equivale a un attentato alla
Costituzione. Su questi valori si è concentrata l'attenzione degli avversari del regi-
me, e in piazza è scesa la cosiddetta "Società di Velluto". Giovani scolarizzati.
Donne e uomini della borghesia urbanizzata controllati dai riformisti che cercano
ruolo e potere contro una economia di stato diretta alle zone più povere e arretra-
te del paese. Un progetto di destabilizzazione che ha usato le armi subdole dei
simboli che colpiscono pancia e cuore, prima di pensiero e ragione. Lo strazio del-
l'omicidio di Neda ha annientato qualsiasi spirito critico e volontà di comprensio-
ne. Le botte sospendono il pensiero. Le immagini delle impiccagioni e dei cappi rap-
presentano l'aberrazione di ogni coscienza umana. Sono omicidi di stato al pari di
quelli che avvengono nel resto del mondo. Democraticissimo, laico, occidentale.