Numero 6 del 2010
Spot! Pubblicità & dignità
Testi pagina 29
tallo al collo; molte hanno un figlio in
pancia e uno in collo; una giovane don-
na sta macinando il sorgo tra due pietre
con il figlio sulla schiena. Sono immagi-
ni di un mondo di cui non conserviamo
più memoria. Tezéra, visto il nostro en-
tusiasmo, ci propone di passare un po-
meriggio in un villaggio Hamer, l'etnia
più famosa della zona. Gli Hamer non
chiedono nulla ma, se vogliamo restare
a cena, dobbiamo provvedere acqui-
stando due capretti e un po' di Tech (un
idromele leggermente alcolico, bevanda
nazionale) da portare per loro.
Il villaggio non è molto lontano da
Turmi e, ancora una volta, i bambini
piangono spaventati quando mi vedo-
no. Occorrerà tutto il pomeriggio perché
si abituino alla mia presenza. Siamo
precipitate in un altro tempo e in un al-
tro spazio: gli uomini sono al pascolo,
rientreranno a fine giornata. Un giova-
ne si occupa della cena mentre le donne
ci invitano a bere caffè in contenitori ri-
cavati da zucche vuote. Verso sera arri-
vano gli animali insieme agli uomini.
Questi ultimi hanno il fucile, ma non
conoscono la ruota. L'imbrunire arriva
veloce e sprofondiamo in un buio asso-
luto. L'unica luce arriva dal fuoco acce-
so per cuocere la carne; a due metri dal
falò noi non vediamo nulla, ma loro
procedono scalzi e spediti. La cena con-
siste in pezzi di carne alla brace che un
giovane taglia con un enorme machete e
distribuisce. Siamo diversi "tavoli" con
un fascio di rami per tovaglia e un bic-
chiere di plastica colorata (da dove sa-
ranno arrivati?) per il tech. Il capovil-
laggio interroga la nostra guida sulla
mia situazione. La disabilità a queste
latitudini pare sia considerata un segno
divino, forse per il semplice fatto che un
indigeno nelle mie condizioni morirebbe
in una settimana. Sarebbe interessante
approfondire l'argomento ma la barrie-
ra linguistica è troppo forte e il discorso
troppo complesso. L'anziano capo mi
mette al polso due suoi bracciali: sono
profondamente commossa e grata alla
vita per avere potuto vivere questa
straordinaria esperienza.
L'indomani partiamo verso Nord.
Una sosta al mercato di Key Afar è d'ob-
bligo ma tre donne bianche, di cui una
in carrozzina, sono uno spettacolo trop-
po interessante e spesso fatichiamo a
spostarci tra la folla. Arriviamo a Jinka
all'imbrunire. Ha appena piovuto e la
stanza ha l'odore dell'umidità, un odore
di terra e di foglie bagnate. Ci aspetta
un altro lungo percorso nella foresta per
arrivare dai Mursi, un popolo che vive
nel Parco del Mago e conosciuto per i
piattelli labiali che portano le donne.
Appena scendiamo dall'auto ci rendia-
mo conto cosa significa la 'corruzione
del turismo': tutti si avvicinano, curiosi
ma soprattutto interessati ai nostri sol-
di. Il capovillaggio ci invita a pagare
ognuno per ogni foto, ma è praticamen-
te impossibile fotografare tutti e pagare
tutti. L'ostilità di quelli che non abbia-
mo fotografato ci fa percepire l'assurdi-
tà della situazione e dopo i primi tre
scatti non facciamo più foto. L'isola-
mento di questo popolo è totale, i pochi
turisti che arrivano sono "ricchi", ma i
soldi guadagnati servono soprattutto
agli uomini per ubriacarsi. C'è qualcosa
di antico anche in questo. Forse i piat-
telli labiali più che una tradizione sono
mantenuti per quelli come noi che vo-
gliono vedere i "selvaggi": l'origine di
questa usanza è tutt'oggi sconosciuta
anche se pare che sia stata adottata per
impedire i furti delle donne - bellissime -
ai tempi degli schiavi. La fierezza delle
donne Hamer e Karo non la ritroviamo
qui, dove l'imperativo è farsi pagare.
A Jinka troviamo un piccolo museo
che raccoglie oggetti tipici delle popola-
zioni della Valle dell'Omo con schede
per ogni gruppo etnico: è uno sforzo im-
portante per dare dignità e visibilità a
questi popoli. Tornate ad Arba Minch,
facciamo visita all'etnia Dorze, un po-
polo che lavora il cotone magnifica-
mente; i tessuti sono bellissimi ma non
sappiamo se le risorse economiche che
arrivano, soprattutto dal turismo, ab-
biano davvero migliorato la qualità del-
le loro vite. Nonostante sia passato solo
un anno dall'ultima visita, scopriamo
infatti che hanno costruito molte casu-
pole in lamiera lasciando il villaggio,
con i tipici tucul a due piani, ad uso dei
turisti. Per noi è stata un'esperienza ma-
gica e già pensiamo di tornare anche so-
lo dagli Hamer fra qualche tempo. Ci
rendiamo conto però che mentre il con-
sumismo occidentale sta distruggendo il
mondo, loro potranno sopravviverci e
forse proprio a questi, cosiddetti primi-
tivi, è affidato il futuro della terra.
noidonne giugno 2010 29
cronaca di un viaggio speciale in un mondo in bilico
tra l'immobilità ed il futuro