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Numero 3 del 2012

D come differenti


Foto: D come differenti
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Testi pagina 29

la sua piena realizzazione. Ciò è determinante sia ai fini dei diritti indi-
viduali e fondamentali di ciascuno di noi, sia in termini di utilità gene-
rale del sistema, che potrà rigenerarsi su solide basi di un benessere di
cittadinanza diffuso.

Vi è un nesso profondo tra uguaglianza e giustizia, tra uguaglianza e pa-
rità, tra parità e giustizia, perché il diritto positivo prende in considera-
zione soprattutto le disuguaglianze frutto di ingiustizie. Le stesse poli-
tiche redistributive, la promozione delle pari opportunità in favore dei
soggetti deboli, le azioni positive, il “diritto antidiscriminatorio”, sono
tentativi di prevenirle o contrastarle.

L’eredità culturale intangibile delle donne nel corso dei secoli ha contri-
buito alla costruzione del presente, e oggi pretende di essere decisiva per
la costruzione del futuro. La scarsa rappresentanza femminile nelle istituzioni
della polisè frutto di uno stereotipo, un pregiudizio di non afיִdabilità, che
deve essere sradicato mediante precisi interventi di riequilibrio. In Italia
il cammino è ancora lungo e in salita, come dimostra l’attuale composizione
di Camera e Senato, dove la presenza delle deputate è ferma al 21%, del-
le senatrici al 18%. Questo nonostante la massima e più autorevole cari-
ca dello Stato, il Presidente della Repubblica Napolitano, abbia afferma-
to che “non possiamo ignorare la gravita dello squilibrio persistente in Ita-
lia, a danno delle donne, nella rappresentanza politica ”. A livello di am-
ministrazioni regionali non stiamo meglio. Basta citare le 7 consigliere elet-
te su 80 in Regione Lombardia e il dato medio italiano dell’11,6% per con-
statare lo strabismo e la profonda parzialità di un sistema che relega a mi-
noranza ciò che è maggioranza nel Paese e nel mondo.

Anche in Emilia-Romagna le donne sono sottorappresentate nelle posi-
zioni apicali e di responsabilità, siano esse incardinate in sedi istituzionali,
elettive, pubbliche o private: ad esempio le presidenti delle amministrazioni
provinciali si attestano al 33%, le donne sindaco al 19,7% (numeri esi-
gui ma pure i più alti in Italia), mentre rappresentano il 38,4% della Giun-
ta regionale ma solo il 18% dell’Assemblea legislativa.

A יִne 2011 si è tenuto a Roma il primo forum nazionale delle elette del-
le Regioni e Province autonome, organizzato dalla Conferenza dei Presidenti
delle Assemblee legislative, da cui è scaturito un documento condiviso,
da proporre alla discussione, per
una modiיִca delle leggi elettorali
che favorisca il riequilibrio di ge-
nere nella rappresentanza. Il do-
cumento, approvato all’unani-
mità prima dalla Commissione
per la piena parità tra donne e uo-
mini della Regione Emilia-Roma-
gna e poi in plenaria, ha impe-
gnato Giunta ed Assemblea Le-
gislativa ad assumere concretamente il tema e contribuire a risolverlo.
Èvero che non bastano i correttivi elettorali per superare ostacoli cultu-
rali e di sistema: ad essi vanno aggiunte solide politiche di conciliazio-
ne, יִscali e del lavoro. Né sfugge l’importanza della partecipazione del-
le donne ai vertici economici e societari e in tal senso un passo in avan-
ti si è fatto con l’approvazione in Parlamento (awenuta lo scorso 28 giu-
gno) di una legge che stabilisce la presenza di almeno un terzo del ge-
nere meno rappresentato nei consigli di amministrazione delle società
quotate in borsa e controllate. È però altrettanto vero che una politica ri-
generata dalla presenza femminile potrebbe acquisire questi temi, così
importanti per il rilancio economico e sociale del nostro Paese, con più
slancio, consapevolezza e determinazione. Il cambiamento che ci dovrà
portare ad una compiuta democrazia paritaria è awiato. Il cambiamen-
to siamo noi.



“L’ITALIA SONO ANCH’IO”

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Il Gruppo del PD in Regione
EmiliaRomagna sostiene, da
mesi, la campagna “L’Italia sono
anch’io", proponendo così la ri-
forma del diritto di cittadinanza
peri minori stranieri nati qui e ac-
cogliendo l’appello del Presi-
dente della Repubblica Giorgio
Napolitano che ha di recente pre-
so posizione a favore di questa
soluzione.

Sull’argomento l’Italia ha norme
assai restrittive, contrariamente
agli Stati Uniti e a numerosissimi Paesi occidentali ed europei. Ai figli
degli stranieri infatti è semplicemente concessa la possibilità di richiedere
la cittadinanza al raggiungimento della maggiore età, a condizione che
abbiano risieduto in Italia dalla nascita senza alcuna interruzione. Ciò
li rende, a tutti gli effetti, bambini di serie B. Questi ragazzi vivono con
i nostri figli, frequentano le stesse scuole, giocano assieme, si sento-
no nella stragrande maggioranza dei casi italiani; eppure da un momento
all’altro potrebbero essere rimpatriati e perdere cosi ogni diritto.
Durante il dibattito in Assemblea Legislativa, nel confronto fra diver-
se idee politiche, un esponente del PDL ha accusato il centrosinistra
di voler trasformare l’Italia nella “sala parto del/Africa". |l portato cul-
turale che un’affermazione simile evoca non è un inedito nella nostra
storia recente. La disgraziata avventura coloniale vedeva il Duce in pri-
ma fila nel cercare “un posto al sole", ma contemporaneamente si ema-
navano leggi contro i meticci e per preservare la razza italica da “con-
taminazioni". Negli anni del boom economico il nord affamato di ma-
nodopera impiegava un gran numero di meridionali, ma sovente essi
finivano ghettizzati e si registravano episodi di intolleranza contro i
cosiddetti “terroni”. Non solo a Milano e a Torino, anche a Bologna.
Ècresciuto un “leghismo culturale" che considera normale affidare agli
extracomunitari le mansioni più umili e pesanti, e al co itempo negare
loro le tutele che reputiamo per noi sacre e inviolabili. In tutto ciò rie-
cheggiano, spiace constatarlo, rigurgiti razzisti e cert' provincialismi
culturali tipici del ventennio fascista che spaventano e che sperava-
mo archiviati per sempre.
Nel bel film “Almanya” nelle sale cinematograיִche di ecente c’è una
frase importante pronunciata da Max Frisch, scrittore e architetto svizze-
ro, a proposito dell’imponente fenomeno della migrazione verso la Ger-
mania awenuto fra gli anni '60 e ’70: "Abbiamo chiamato lavoratori —
disse - e sono arrivate delle persone”. Fra loro, vorrei aggiungere, sono
arrivati anche dei genitori e molto spesso (come raccmta la pellicola)
sono nati dei יִgli una volta che le madri e i padri si trovavano già in Italia.
Occorre allora avere il coraggio di affrontare alcune domande, senza
nascondersi: un Paese che non sappia difendere i più p'ccoli, le giovani
generazioni, può dirsi veramente evoluto? Per stare arcorati all'attua-
lità: con la crisi che incombe — e l’elevato rischio di espdlsione dei loro
genitori, qualora perdano il lavoro e non si vedano rinnovato il permesso
di soggiorno — cominceremo a rispedire a cuor leggero neonati e ado-
lescenti oltreconfine “causa recessione”, negando loro qualunque di-
ritto? Una società che con una mano censura a gran voce i perversi mec-
canismi che ci stanno impoverendo sempre più, e con l’altra intesta di
fatto il conto di questa situazione a dei minorenni, a mio parere è in-
degna di considerarsi civile.





Marco Monari
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