Numero 3 del 2015
8 Marzo al tempo delle crisi
Testi pagina 28
26 Marzo 2015
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di Cristina Carpinelli
In questi ultimi anni, uno dei punti prioritari dell’agenda
politica dei tre Stati baltici è stato quello di semplifi care
le procedure di naturalizzazione per le persone
che vivono da tempo nella regione Baltica e che,
nonostante ciò, sono considerate “non-cittadini”.
Si tratta, nella maggior parte, di minoranze di etnia
russa, verso cui sono state praticate per diverso tempo
politiche discriminatorie attraverso rigorose politiche
linguistiche e di cittadinanza.
A tutt’oggi, circa 300mila abitanti di lingua russa in Let-
tonia e circa 100mila (abitanti di lingua russa) in Esto-
nia non possiedono una cittadinanza, nonostante che tra
loro vi siano persone nate e cresciute in quei paesi. Tali
abitanti sono etichettati, in modo spregiativo, come “per-
sone di lingua russa”, “gente che parla russo”, o “sradi-
cati”. Sul loro passaporto, di colore grigio (che identifi ca
i passaporti degli stranieri), sono scritte parole come:
“nepilso?” (non-cittadino) per i russi residenti in Lettonia,
“mittekodaniku” (non-cittadino) per i russi residenti in Esto-
nia, oppure semplicemente “alien” (alieno). La legge di cit-
tadinanza dei tre Stati baltici esclude per i “non-cittadini”
la titolarità dei diritti politici, l’accesso ai pubblici impieghi
e sottopone a restrizioni l’acquisto di proprietà private.
Nel 1993, il Consiglio d’Europa ha defi nito i criteri di ade-
sione dei paesi all’Unione europea in occasione del Verti-
ce di Copenaghen, uno dei quali richiedeva che il paese
candidato avesse raggiunto una stabilità istituzionale tale
da garantire la democrazia, il principio di legalità, i diritti
umani, il rispetto e la protezione delle minoranze. Proprio
appellandosi a questo criterio, il Consiglio d’Europa e l’O-
SCE hanno rivolto agli Stati baltici, nel corso degli anni
Novanta e primi anni Duemila, non poche raccomandazio-
ni, affi nché questi conformassero la loro normativa interna
alle direttive UE in materia di protezione e rispetto delle
minoranze.
A seguito delle sollecitazioni del Consiglio d’Europa, Letto-
nia ed Estonia, in particolare, hanno riformulato alcune nor-
me contenute nella legge di cittadinanza, con lo scopo di
ridurre il numero di “non cittadini” presenti sul loro territorio.
IN LITUANIA, la minoranza russa è esigua rispetto
agli altri due paesi baltici. Per questo, ha da subito
adottato - dopo l’indipendenza dall’Urss - una legge sulla
cittadinanza (1991) meno improntata sulla “tutela etnica”.
Se è vero, infatti, che la cittadinanza è riconosciuta solo
a tutti coloro che la possedevano prima del 15 giugno
1940 (giorno in cui il paese è stato occupato dall’Armata
Rossa per essere poi inglobato nell’Urss), escludendo
di conseguenza le persone di etnia russa, che per
poterla acquisire devono sottoporsi ad una procedura di
naturalizzazione che prevede delle condizioni piuttosto
rigide (possedere un reddito fi sso e legale, conoscere la
lingua lituana, i principi fondamentali della Costituzione
e la storia del paese, giurare fedeltà allo Stato, risiedere
stabilmente nel paese, ecc.), tuttavia, la legge - già
nella sua prima versione - concede “automaticamente”
la cittadinanza a tutti i bambini nati in territorio lituano
(dopo la riconquista dell’indipendenza) da genitori privi
di cittadinanza e stabilmente residenti a prescindere dalla
loro origine etnica, dalla durata del periodo di residenza o
dalla conoscenza del lituano (art. 10).
Negli altri due Stati baltici, la situazione è più complessa.
ANCHE IN ESTONIA, in base alla legge di
cittadinanza vigente, sono considerati automaticamente
cittadini tutti coloro che avevano acquisito la cittadinanza
prima del 16 giugno 1940 (giorno in cui il paese è stato
I FANTASMI
CHE SI
AGGIRANO
PER L’EUROPA
RICONOSCIUTA LA CITTADINANZA
AI FIGLI DI RUSSI “NON CITTADINI” RESIDENTI
STABILMENTE IN LETTONIA, ESTONIA E LITUANIA
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