Numero 4 del 2010
Svelate
Testi pagina 26
aprile 2010 noidonne26
Maya ha 20 anni, i capelli biondi, leAll Star rosse sempre ai piedi e la
zeppola (il sigmacismo, come lo chia-
mano gli esperti di dizione). Ogni vener-
di, megafono in mano saltella da una
parte all'altra di Sheikh Jarrah, quartie-
re di Gerusalemme Est dove da diversi
mesi va avanti una mobilitazione quasi
permanente in solidarietà delle famiglie
palestinesi sfrattate dal quartiere.
Maya Wind è la responsabile dell'uf-
ficio stampa dei Rabbis for Human
Rights (Rabbini per i diritti umani) una
delle diverse organizzazioni israeliane
che si occupano delle violazioni dei di-
ritti umani dei palestinesi a Gerusalem-
me Est. Maya descrive la situazione co-
me "estremamente tesa", "coloni ebrei
spesso provocano consapevolmente le
famiglie". Le famiglie Al Kurd, Ghawi,
Hanooun, le famiglie senza più la loro
casa a Sheikh Jarrah, sono la seconda
famiglia di Maya. "Ho dormito con loro
diverse notti, ho assistito alla violenza e
ai soprusi dei coloni".
Maya è cresciuta a Gerusalemme,
durante la seconda Intifada, in una
scuola religiosa, in una famiglia sioni-
sta. Poi all'età di 15 anni ha incontrato
una sua coetanea palestinese, nel corso
di un workshop sulla risoluzione dei
conflitti organizzato da Face to face, un
gruppo di dialogo tra giovani Israeliani
e Palestinesi. Una molla le è scattata
nella testa. "E cosi sono andata in West
Bank, ero terrorizzata, pensavo che se
avessi detto che ero israeliana o ebrea,
mi avrebbero sparato, anche se ci ero
già stata centinaia di volte, ma nelle co-
lonie illegali; molti dei miei compagni a
scuola erano figli di coloni, ci sono sta-
ta cosi tante volte da bambina. E cosi
all'improvviso sono uscita dalla bolla.
Ho visto l'occupazione nelle sue tante
forme, per questo mi sono rifiutata di
entrare nell'esercito". A dicembre del
2008 firma una lettera con altri suoi co-
etanei in cui si rifiuta di fare il servizio
militare (obbligatorio in Israele). Diven-
ta una Shministin, che in ebraico indica
"gli studenti del dodicesimo grado", l'ul-
timo anno della scuola dell'obbligo
israeliana, l'ultimo anno di spensiera-
tezza prima di arruolarsi nell'esercito.
Cento obiettori hanno sottoscritto la
lettera tra il 2008 e il 2009: giovani
israeliani che rifiutano di far parte di un
esercito che occupa i territori Palestine-
si. Un rifiuto che ha suscitato non poche
polemiche, perchè reso pubblico a metà
di gennaio proprio mentre Israele porta-
va avanti la terribile operazione milita-
re nella Striscia di Gaza. "Eppure mi so-
no sentita ancora più forte nel dire pub-
blicamente no - dice Maya - no a una
violenza che è il risultato di decenni di
occupazione dei territori palestinesi e
dell'assedio di Gaza". Nella sua lettera
scritta al Ministero della Difesa Israelia-
no alla fine del 2008 si legge "Ho capito
che la mia difficoltà a criticare le azio-
ni immorali che Israele commette, ave-
vano origine nell'identificazione con le
mie coetanee e i miei coetanei che sono
nell'esercito. Oggi è proprio questa con-
sapevolezza che mi porta a dire no. Non
posso riconoscere l'umanità negli Israe-
liani e non nei Palestinesi". Anche nel
2010, ottanta Shministin hanno inviato
lettere al Ministro degli Esteri Israeliano
per dire no. Ma la tradizione delle lette-
re degli obiettori risale agli anni settan-
ta, quando alcuni studenti ne scrissero
una all'allora Ministro Israeliano Golda
Meier, solo pochi anni dopo la guerra
dei Sei Giorni. Chi si rifiuta di entrare
nell'esercito rischia dai 21 ai 28 giorni
di carcere, chi si rifiuta di indossare la
divisa militare viene in genere mandato
in isolamento. Dopo il carcere, gli Shmi-
nistin vengono rimandati a casa e ri-
chiamati di nuovo: se rifiutano una se-
conda volta, come molti di loro fanno,
vengono rimandati in cella; fino a
quando prima o poi non ottengono di
essere esentati dal servizio militare.
Si sono avute lettere nel 1982 dopo
la (prima) guerra in Libano, nel 1991
dopo la prima Intifada e ancora nel
2001, 2002, 2005. Nel 2008 un nuovo
gruppo ha ripreso la tradizione dei pri-
mi firmatari, tante le ragazze. Omer
Goldman, Maya Wind, Tamar Katz,
Mia Tabarin, Or Ben David. Giovanissi-
me donne israeliane che hanno deciso di
raccontare e vivere un'altra versione dei
fatti.Vanno regolarmente in West Bank,
parlano con i loro coetanei palestinesi,
apprendono il significato di cosa vuol
dire vivere quotidianamente sotto occu-
pazione. Si tessono relazioni, amicizie.
In alcune si percepisce un velo di incer-
tezza, la paura di sentirsi diversa, in
una società in cui la prima domanda
che ti viene fatta è "e tu che cosa hai fat-
to nell'esercito o in quale dipatimento
eri?". Quando chiedo a Maya come sono
le relazioni con i suoi coetanei, mi spie-
ga che vuole mantenere relazioni con i
suoi amici sionisti, con i suoi amici che
vivono nelle colonie e con cui è cresciu-
ta. "Credo che qualcuno possa cambia-
re, come sono cambiata io". Ma quando
le chiedo del suo rapporto con i genito-
ri, accenna timorosamente alle difficol-
tà, poi mi chiede di spegnere il registra-
tore. Capisco che per lei è troppo dolo-
roso parlarne.
Anche Omer Goldman ha avuto dif-
ficoltà a far accettare la sua scelta. Suo
padre è una figura in vista nella società
israeliana e ha lavorato nel Mossad, l'a-
Israele
Maya. E le altre che dicono 'no' all'esercito
Barbara Antonelli
Attivisti isrealiani manifestano a Sheikh Jarrah
Maya Wind a Sheikh Jarrah
Giovane attivista israeliana arrestata durante una
manifestazione pacifista