Numero 4 del 2016
Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali
Testi pagina 26
24 Aprile-Maggio 2016
Nel dibattito pubblico su lavoro, famiglia e conciliazio-ne, si sta discutendo molto sul ruolo dello Stato nel welfare, sulla progressiva riduzione delle risorse de-
dicate, e sul tentativo di sviluppare maggiormente il welfare
secondario o di secondo livello, cioè quello che coinvolti
anche altri attori quali ad esempio il terzo settore e, soprat-
tutto, le aziende.
Le possibilità di sviluppo del welfare aziendale devono pur-
troppo fare i conti con la realtà italiana: il nanismo delle
nostre aziende rappresenta un ostacolo insormontabile per
l’adozione di servizi che richiedono ben altre economie di
scala: basti ricordare che il 52,5 per cento dei lavoratori/
trici in Italia è impiegato in aziende con meno di 50 dipen-
denti (Istat).
Ad ogni modo in questi anni il welfare aziendale sta co-
noscendo un crescente interesse anche grazie ad un mi-
glioramento della cultura di responsabilità sociale delle
aziende, che rappresenta una condizione di partenza in-
dispensabile.
Per comprendere bene la portata di questa tendenza è
sempre bene riflettere sui numeri. Quante sono in Italia le
aziende che fanno iniziative di welfare aziendale? Una rile-
vazione dell’Istat ha messo in evidenza che il 37 per cento
delle aziende in Italia adotta strumenti dedicati alla flessibi-
lizzazione dell’orario di lavoro per favorire la conciliazione
dei/delle dipendenti, mentre il 17,5 per cento delle aziende
offre servizi per gli asili nido, servizi sociali, di assistenza,
ricreativi e di sostegno.
Indagando sulle aziende che hanno adottato tali servizi, si
vede chiaramente che il settore maggiormente attivo nella
conciliazione vita-lavoro è quello dei servizi, seguito dal-
la manifattura e, buon ultimo, il commercio. Nel caso dei
servizi, addirittura la metà delle aziende (50,5 per cento)
adotta strumenti di flessibilizzazione del lavoro, e il 30,7 per
cento è impegnata nell’offrire servizi per la conciliazione.
La sensibilità delle aziende verso la responsabilità sociale
e il welfare aziendale è quindi spesso stimolata dal tipo di
attività che queste conducono. La tipologia di aziende più
attive vede infatti maggiormente interessate quelle grandi,
le aziende nel settore dei servizi ad elevato tasso di fem-
minilizzazione, le aziende nel settore dei servizi ad elevato
contenuto tecnologico, le aziende manifatturiere ad elevato
tasso di femminilizzazione, le aziende attive nei servizi di
cura alla persona, le aziende con particolari criticità stres-
sogene per i dipendenti,
Tra i fattori che le invogliano ad intervenire su questi temi
vi sono infatti l’elevata presenza di donne nella forza la-
voro, che portano necessariamente le imprese a prendere
coscienza delle problematiche di conciliazione che influi-
scono sulla loro produttività, l’aumento delle attività legate
al terziario avanzato, che spingono verso una maggiore
valorizzazione del capitale umano, l’esigenza di motivare
maggiormente il personale e di migliorare la reputazione
dell’azienda presso i propri stakeholder.
Interessanti sono inoltre le ricadute economiche e i benefici
del welfare aziendale in termini di redditività e contenimen-
to dei costi.
La fiscalità applicata al welfare aziendale rende infatti tali
servizi convenienti sia per l’impresa sia per il lavoratore. Con-
frontando i diversi trattamenti fiscali attribuiti ad un ipotetico
aumento di stipendio rispetto ad una erogazione di servizi
per la conciliazione di pari importo, si osserva un’importante
riduzione dei costi per l’azienda e un aumento di retribuzio-
ne per il lavoratori. Ad esempio, su un ipotetico importo di
250 euro spesi per il welfare aziendale l’azienda godrebbe
di un risparmio di 118 euro e il lavoratore di 92 euro.
Si parla molto in questi ultimi anni di
welfare aziendale e dell’impegno delle
aziende nel favorire la conciliazione e il
benessere dei lavoratori, nonché del ruolo
che queste dovrebbero assumere in futuro
anche per compensare le carenze crescenti
dello Stato.
Ma perché le aziende dovrebbero farlo?
Quale interesse avrebbero?
I dati ci dicono che in effetti conviene,
in termini economici e non solo.
Ci vuole però una classe dirigente
lungimirante e una cultura d’impresa
particolarmente illuminata. Dati i tempi,
un’utopia? Ci piace pensare di no
di Giovanna Badalassi
QUANDO
IL WELFARE
LO FANNO
LE AZIENDE
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