Numero 4 del 2010
Svelate
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così come altre provincie è stata coin-
volta qualche tempo fa in un progetto
Equal. Il tema in proposito era l'indivi-
duazione di strategie per il funziona-
mento dei sistemi di welfare locali, fa-
vorendo nuove forme di integrazione tra
servizio pubblico e privato sociale nel-
l'offerta di servizi di cura domiciliare.
Lo stesso progetto è poi stato declinato
in varie forme un po' in tutta Italia, ri-
chiamando le buone prassi per la conci-
liazione tempo-lavoro. Nello specifico
parliamo di flessibilità, di forme inno-
vative, di istituzione di banca delle ore
e molto altro... Alcuni progetti si sono
concretizzati anche con la collaborazio-
ne degli istituti di previdenza, il che si-
gnifica che tutto è davvero possibile.
Perché allora continuare a lasciare che
le buone prassi siano esclusivo fattore
di sensibilità degli imprenditori?
E' innegabile che l'imprenditrice di
una micro azienda incontri, in gene-
rale, maggiori difficoltà, ivi compre-
so il momento della maternità so-
prattutto in termini di sviluppo
aziendale, mantenimento degli
obiettivi, liquidità, ecc. Quali stru-
menti attiverebbe e quali auspiche-
rebbe?
Temo che il discorso ci porti più in
ambito di definizione di strategie politi-
che, con riferimento alla politica di Go-
verno, intendendo però la politica nel
senso più nobile dell'accezione del ter-
mine e non quella partitica che sempre
più spesso occupa i dibattiti televisivi.
Tutto sommato è molto semplice. For-
se sarebbe ora di considerare che la ric-
chezza dell'Italia è data da un'insieme
di piccole, piccolissime e micro aziende
che sono la colonna portante. Questo è
un dato di fatto che ci accompagna da
sempre.
Anche per una semplice questione di
specializzazione territoriale delle com-
petenze, delle conoscenze e del cosid-
detto "saper fare".
E nelle PMI, ancora più che nelle
grandi aziende, la centralità dell'indivi-
duo, a partire dall'imprenditore fino ad
arrivare all'ultimo degli addetti, è fon-
damentale come fattore di vantaggio
competitivo.
La gestione delle risorse umane an-
drebbe intesa in effetti non solo come
assieme delle politiche di assunzione o
di licenziamento: passa indubbiamente
per la formazione, per la flessibilità e
per il sostegno all'individuo. Il resto vie-
ne da sé. Se poi pensiamo all'ambito eu-
ropeo, mi vien da dire che l'Italia è piut-
tosto indietro.
Nei primi tre anni di vita delle azien-
de si registra il più alto tasso di mor-
talità imprenditoriale: quali possono
essere i fattori che incidono sul risul-
tato ?
Mi vengono in mente le parole di un
biglietto augurale che mi è stato recapi-
tato qualche tempo fa: Coraggio. Fortu-
na. Successo. Non so dirle se oggi come
oggi questo possa ancora essere l'ordine
giusto. A mio avviso, il coraggio di por-
tare avanti un'idea non è solo un'idea
imprenditoriale e di profitto, ma è anche
idea di piena responsabilità di chi è
pronto a rispondere, a mettersi in gioco,
a scegliere. La conseguenza prima è il
senso di rischio personale che va di pa-
ri passo col coraggio. Un pizzico di for-
tuna che in realtà è la visione e l'istinto
di saper essere al posto giusto nel mo-
mento giusto. E quindi il successo che
arriva con la capacità di saper leggere
lo scenario nel quale si agisce, di saper
comprenderne le criticità e saper ap-
prezzarne le peculiarità in modo da va-
lorizzare ancora di più gli elementi
(tangibili e intangibili) della propria
realtà aziendale.
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per consentire la conciliazione dei tempi tra azienda
e famiglia ci vuole la 'politica'. Ma quella vera
Sono una giovane manager, ho tren-
tadue anni e lavoro nel settore vendite
di una importante azienda italiana.
Sono entrata con uno stage non retri-
buito dopo la laurea in economia a
Milano, mi sono mantenuta agli studi
con lavoretti vari e ho fatto la gavetta
nella mia azienda per otto anni, rag-
giungendo con molti sacrifici la mia
attuale posizione di responsabile del
servizio vendite. Oggi posso dire di essere apprezzata dai miei
colleghi e dai miei capi.
Ma forse dovrei dire fino a ieri, fino a quando cioè ho comu-
nicato in azienda di essere incinta.
All'improvviso, tutte le mie qualità di intelligenza, tenacia,
flessibilità e capacità di raggiungere i risultati, che mi venivano
riconosciute come punti di forza, si sono azzerate…Il mio capo
mi ha persino detto: "Darai le dimissioni, no?" Io non ci penso
proprio, non vedo perché non posso essere una brava manager e
al tempo stesso una brava madre! Ma ci sono rimasta male….
Alessandra Cucchi, Settala (Milano)
Non ci rimanere male, Alessandra! Il nostro paese purtroppo
è fermo agli stereotipi nel sottolineare a parole il valore della fa-
miglia, ma non fa granchè per sostenerlo effettivamente. La ma-
ternità è un costo per le aziende? No, dato che rappresenta lo
0,23% del totale dei costi di gestione del personale, secondo l'Os-
servatorio sul Diversity Management della Sda Bocconi di Mila-
no. Perché è l'INPS che paga l'indennità economica dei cinque
mesi di assenza obbligatoria per maternità (l' 80% dell'ultimo sti-
pendio) ed anche di quella facoltativa (il 30%).
Certo, l'azienda deve sostituire, quindi selezionare e formare
una persona al posto di chi lascia provvisoriamente il proprio la-
voro, ma c'è di veramente problematico? Non è forse questo un
atteggiamento miope diffuso nella impresa italiana, basato su
una "cultura delle convinzioni" piuttosto che su una "cultura del-
le conoscenze"? Asili nido aziendali e congedi parentali scelti an-
che dai padri sono le soluzioni che non penalizzano la carriera
delle donne e che in molti Stati europei garantiscono il rientro
delle lavoratrici madri al lavoro, senza perdere il ruolo faticosa-
mente conquistato.
A proposito, che ne pensa tuo marito?
Auguri!
Cristina Melchiorri
Non è un paese per donne