Numero 6 del 2009
Libere o sicure?
Testi pagina 24
giugno 2009 noidonne24
Pensioni? Meglio se flessibili
Aldo Amoretti è stato per lunghi an-
ni un dirigente della CGIL: in particola-
re ha diretto la categoria dei tessili dove
la presenza femminile è, come sappia-
mo, molto elevata. Ora è presidente del
Cnel. Lo scorso aprile ha partecipato al-
la Rete Nazionale delle Consigliere di
Parità. Gli abbiamo posto alcune do-
mande sul suo intervento che ha susci-
tato molto interesse.
Lei ha riferito nella sua relazione
della partecipazione del Cnel, con
un proprio documento, alla 53° ses-
sione dell'ONU sulla condizione
delle donne, nello scorso marzo. Ci
vuol dire quali sono i punti salienti
che caratterizzano l'occupazione
femminile in questo periodo di crisi?
Nel documento "Le ripercussioni
della crisi economica e finanziaria sul-
l'occupazione femminile in Italia", che
è il risultato dell'elaborazione concor-
de del gruppo di lavoro sulle pari op-
portunità, si afferma che "è noto che
esiste un rapporto positivo tra il tasso
di attività delle donne e crescita eco-
nomica del paese. Il reddito delle don-
ne contribuisce non solo al benessere
familiare ma anche alla massa fiscale e
previdenziale, nonché alla domanda di
servizi di cura alle persone che, per de-
finizione (è importante notarlo), sono
radicati nel territorio e non possono
essere delocalizzati. In questo modo
l'occupazione femminile attiva un cir-
colo virtuoso che genera, oltre al red-
dito, anche occupazione e imprendito-
ria aggiuntiva.
Occorre quindi mettere in campo
tutti gli strumenti che consentano di
sostenere, in questa fase di crisi, l'oc-
cupazione femminile (e in particolare
di quei soggetti considerati svantag-
giati ai sensi del Regolamento comuni-
tario, come le donne in reinserimento
lavorativo, disoccupate o inoccupate,
che non godono degli ammortizzatori
sociali classici), attraverso azioni di
reimpiego come: sostegno al reddito
della lavoratrice che non percepisce
indennità o sussidi di disoccupazione,
bonus alle imprese che assumono tali
soggetti, attivazione di servizi di in-
contro tra domanda e offerta di lavoro,
azioni di riqualificazione (va in questa
direzione il programma PARI attivato
dal Ministero del Lavoro). Solo così sa-
rà possibile non disperdere un patri-
monio di lavoro e di imprenditoria
femminile che ha contribuito in misu-
ra essenziale alla creazione di benes-
sere nel nostro Paese".
Lei non crede che esistano dei
paradossi rispetto alla presenza
femminile nel mercato del lavoro; si
dice da più parti che le donne prefe-
rirebbero ad esempio il lavoro nero o
che preferiscano lavori poco impe-
gnativi o addirittura rimanere a casa
con la motivazione che devono assi-
stere figli o parenti anziani?
Vorrei fare qualche esempio e por-
tare alcune osservazioni su tesi che
sento ripetere e che non mi convinco-
no affatto. Donne che preferiscono il
lavoro nero a causa dei vantaggi fisca-
li per il marito monoreddito non ne ho
conosciute se l'offerta era un lavoro re-
golare a tempo indeterminato. Certo la
colf immigrata spesso preferisce avere
un datore di lavoro al minimo di ore e
tutto il resto al nero perché è stata
abolita la possibilità di riavere i soldi
versati all'Inps quando torna nel suo
paese e considera, non a torto, impro-
babile avere una pensione per i contri-
buti versati in Italia. Ci marciano talu-
ne braccianti con il loro sistema di in-
dennità di disoccupazione? Ma certo
che ci marciano come possono. Ma ri-
sulta che queste persone abbiano ri-
nunciato al lavoro in una fabbrica se
questo si presentava come una alter-
nativa stabile invece che una occasio-
ne temporanea capace di revocare la
condizione di prima per poi trovarsi
con niente in mano? A me non risulta.
Ho invece conosciuto tante donne
capaci fare salti mortali nel districarsi
tra un lavoro in azienda anche con
orari impossibili e la cura di una fami-
glia. E so che in Italia abbiamo circa un
milione di badanti, la metà in nero. E a
questa cifra corrisponde un numero di
poco inferiore di donne che destinano
l'intero loro reddito o quasi per pagare
la badante piuttosto che rinunciare al
lavoro.
E so che in una delle mie vite prece-
denti, quando sono stato dirigente del
sindacato dei tessili, a metà degli anni
ottanta, ho ricevuto applausi per un
contratto che riconosceva il diritto al-
la aspettativa non retribuita, senza
contributi previdenziali e senza oneri
per l'impresa, a fronte della necessità
di cure nei riguardi di una familiare. In
tutte le aziende si conosceva il percor-
so di donne che avevano dovuto di-
mettersi per curare un familiare e poi
un duro percorso per trovare un altro
lavoro.
E lo stesso nella vita successiva co-
me dirigente del sindacato del terzia-
rio, quando il contratto delle imprese
di pulimento, pur magro nei contenuti
salariali, portò la norma di garanzia del
mantenimento del lavoro nei casi di
cambio dell'appaltatore. Anche in que-
sto settore c'è un milione di persone,
soprattutto donne e un 40% al nero.
Fanno un lavoro non desiderato da
nessuno e con gli orari più scomodi,
ma lo difendono con i denti.
In ultimo vorrei conoscere il suo
parere su un argomento che è mol-
to spinoso e preoccupa molte don-
ne e non solo le dipendenti pubbli-
che: quello dell'età pensionabile a
65 anni, dopo la sentenza della
Corte Europea.
Sono fra i non pentiti della riforma
del 1995 che porta il nome Dini. Ave-
va risolto il problema della regola
uguale per maschi e femmine con la
flessibilità. Ogni soggetto poteva sce-
gliere quando andare in pensione tra i
57 e i 65 anni a seconda di condizioni
e convenienze.
Per coloro che stavano nel vecchio
regime retributivo c'era pure il diritto
Consigliere di Parità Alida Castelli