Numero 5 del 2008
Donne elette: tutto è cambiato, nulla è cambiato
Testi pagina 22
maggio 2008 noidonne22
Ci capita spesso di ascoltare"esperti" che trattano tematiche
mai vissute direttamente, facendoci ac-
capponare la pelle ma obbligandoci ad
atteggiamenti passivi o limitandoci a
discussioni in ambienti circoscritti. Ca-
milla Ghedini, giornalista professioni-
sta, ha scritto un libro che già nel titolo
suscita curiosità e crea aggregazione:
"Io cattiva? No, io precaria" (ed Edi-
mond, pg 43, Euro 8,00). E' stato pre-
sentato a Ferrara, nei giorni scorsi da
Mario Molinari, segretario dell'Ordine
Giornalisti Lombardia che lavora per
Matrix, Iene e in passato per Striscia la
notizia. Il libro di Camilla è un testo ve-
ro, c'è cinismo, amarezza, drammaticità
ma c'è anche ironia nella modalità di
esposizione e soprattutto c'è la forza e
la voglia di mandare al diavolo un si-
stema. Non le è stato facile esporsi così
tanto, anche a livello personale, ma i ri-
sultati dicono che ha fatto bene e solo
una donna poteva farlo.
Difficile trovare una/un precaria/o
che metta nero su bianco la realtà in
cui si trova ma soprattutto che evi-
denzi anche gli aspetti umani, di re-
lazione e familiari
che vive. Cosa l'ha
spinta?
L'ho scritto di pan-
cia, consapevole di di-
re la verità ma non ho
voluto pontificare, tut-
t'altro, però non ne po-
tevo più di sentire
sciocchezze in tv e sui
giornali. Il precariato è
stato ridotto all'impos-
sibilità di farsi un mu-
tuo per la casa, a com-
miserazione per chi la-
vora nel call center,
tutto il rispetto, non
fraintendermi, ma que-
sta è una strada trop-
po facile per la 'politi-
ca' che ha la possibili-
tà di fingere una gene-
rosità e una clemenza
buonista. E' la 'disponi-
bilità' gerarchica di chi
si sente superiore.
Sono una persona
consapevole dei miei
diritti. A scuola ho studiato educazione
civica, a casa mi hanno insegnato a ri-
spettare il prossimo e a vivere corretta-
mente, ho fatto parecchi sacrifici per po-
ter fare il lavoro che sognavo. Ho sco-
perto sulla mia pelle quanto l'onestà e
l'intransigenza sul lavoro non siano re-
putati valori aggiunti ma 'fastidi'. Se sei
fedele a te stesso e agli altri, se hai il
senso della gratitudine, se rispetti la di-
gnità tua e degli altri, sei pericoloso.
Perché vivi di relazioni vere e non di al-
leanze del momento.
Il precariato riduce la gente a delle
bestie, ricorda alla gente che i bisogni
primari - mangiare e pagare le bollette -
sono a rischio, dipendono da altri. In
una Repubblica fondata sul lavoro,
questo è inammissibile. Il precariato è
mobbing, è una pressione psicologica
continua che fa leva sui bisogni essen-
ziali, ribadisco, e sulle necessità del vi-
vere quotidiano. E' non potersi ammala-
re, non potersi curare se ti viene il can-
cro, è rinunciare ai sogni, anche banali,
di una vita normale; è non poter strin-
gere amicizie sul posto di lavoro, perchè
il principio è il "divide et impera"; è non
poter esprimere le proprie opinioni. E'
una forma di sudditanza che io, ormai
ne sono certa, non si ha poi tanto inte-
resse a debellare. Il buon precario, come
scrivo nel libro, è autistico e non ha am-
bizioni, tranne quella di genuflettersi e
soddisfare le esigenze di chi è gerarchi-
camente superiore.
Nel suo libro analizza una situazio-
ne di precariato raramente presa ad
esempio, nonostante l'importanza
sociale che riveste. Come si colloca e
quali sono le criticità da un punto di
vista di genere che le stanno partico-
larmente a cuore?
Io ho voluto porre l'accento sulle pro-
fessioni intellettuali, che hanno un valo-
re sociale, come l'informazione, dove
più che in altri ambiti è richiesta tena-
cia, cultura, creatività. Ma lo stesso va-
le per gli architetti, i medici, i ricercato-
ri universitari.
Sembra che le competenze siano pre-
rogativa dei 'ricchi', che possono colti-
varle anche guadagnando poco e pur-
ché non diano fastidio. Il merito, l'indi-
pendenza intellettuale, non servono più
a nulla.
Per quanto riguarda il genere non ho
volutamente differenziato o puntualiz-
zato perché credo di aver fatto il più
grande omaggio alle pari opportunità.
In realtà, poi, il titolo è al femminile. Il
testo, nei primi capitoli è pure declinato
al femminile. Io come donna mi sono
messa a nudo. Avrei potuto intitolarlo
'Io Cattivo? No, io Precario', invece ho
lasciato volutamente il femminile. E cre-
do che questo ci faccia onore. Io sono
donna, e sono incazzata, e lo grido.
Con la tenacia di una donna ma con la
consapevolezza che quel che racconto
riguarda un popolo equamente diviso.
Il testo si è costruito da solo come
dialogo, ma la voce sotto, quella del da-
tore di lavoro, è una voce femminile. Lo
si capisce quando io dico, a pag 26,
"persino Medea si sentiva una buona
madre". Questo è un aspetto che non è
stato colto dalla critica. E la voce è ap-
positamente femminile, perchè le donne
al potere spesso lo sanno usare in ma-
niera diabolica, proprio contro altre
donne. (Questo lo so bene per esperien-
za personale).
Ciononostante credo nell'amicizia,
nella solidarietà e nella condivisione.
Giornalismo atipico, notizie flessibili
Intervista a Camilla Ghedini
Donatella Orioli