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Numero 2 del 2008

Politiche scomode


Foto: Politiche scomode
PAGINA 22

Testi pagina 22

febbraio 2008 noidonne22
Aveva venticinque anni quando suopadre, direttore del teatro Colosseo
di Torino, fu colpito da un ictus che
paralizzò anche la capacità professio-
nale. Di quella funzione sospesa, ma
imprescindibile, pena l'affondamento di
un'attività solida, si fece carico lei, che
fin da piccina aveva posato il suo
sguardo incuriosito fuori e dentro il pal-
coscenico. Lasciata l'Università si atti-
vò, superando apprensioni e titubanze.
Al batticuore d'inizio si sostituì poco al-
la volta sicurezza di giudizio e un'istin-
tiva capacità e fermezza nelle scelte,
tanto che le furono affidati altri incari-
chi di rilievo e organizzazioni interes-
santi, come "Faccia di comico", a Roma,
con Serena Dandini. A distanza di do-
dici anni, questa signora è un'abile im-
prenditrice che ha armonizzato gli affa-
ri al teatro leggero, quello che va incon-
tro al grande pubblico offrendo diverti-
mento e qualità.
Si profila un'apertura alle donne nel
teatro. Giovanna Marinelli a Roma,
Serena Sinigallia all'ATIR di Milano,
Emma Dante a Palermo, Roberta Par-
lotto al Mercadante di Napoli. Che
apporto fornisce la presenza femmi-
nile nella regia nell'organizzazione e
nei ruoli chiave decisionali?
Nella gestione, poco. Le donne che
operano nel settore teatrale sono tante,
ma non figurano nello stesso numero in
posizioni strategiche. Sono molto opera-
tive, ma le situazioni le risolvono per al-
tri. Sul palco sono numerose, ma nella
regia, nella produzione e nella direzione
artistica e organizzativa si contano sul-
le dita. L'identità dell'arte drammatica è
sempre stata maschile.
Vuole dirci in breve il suo esordio,
una soddisfazione, uno smacco, un
progetto?
Mio papà da un giorno all'altro non
c'è più stato in teatro: questo è stato l'i-
nizio, repentino, doloroso, senza pas-
saggi di consegna. Poi è arrivata la pri-
ma riuscita con Hair, un musical stori-
co, una produzione tutta nostra con
quaranta artisti americani. L'ho affron-
tata d'istinto, forse non ero neppure mu-
nita di tutti gli strumenti tecnici; ma l'e-
sperienza è stata fondamentale, propul-
siva, incoraggiante. Lo riproporremo il
19 febbraio in prima nazionale con un
cast in parte americano, in parte italia-
no, con la regia di Giampiero Solari, gli
arrangiamenti musicali di Elisa, le co-
reografie di David Parson. Uno smacco
memorabile? È arrivato con un musical:
economico e di pubblico, inatteso, tota-
le e dovuto ad un artista popolarissimo
di cui non faccio nome. Non ho mai ca-
pito perché. Quanto al progetto, ho un'i-
dea: begli spettacoli, tanto pubblico tut-
te le sere. Ma le stagioni piene non man-
cano mai.
E' vero che non ha sovvenzioni pub-
bliche?
Sì, è vero. Il Colosseo è l'unico teatro
privato di Torino con bilancio in attivo
e privo di qualunque contributo. Stare
in piedi è una questione di abitudine.
Un'azienda che deve sopravvivere pre-
vede un'amministrazione oculata, pon-
derata, senza mosse avventate. Qui non
ci sono sprechi, si cerca di costruire
un'affidabilità e un buon rapporto con
il proprio pubblico, un' immagine posi-
tiva per la qualità degli spettacoli, scel-
ti accontentando tutti i generi: danza,
musical, teatro comico, prosa brillante.
E soprattutto buoni interpreti, come
Marco Paolini che possano raggiungere
1612 persone. Il nostro è il più grande
teatro di Torino.
Anche un po' vecchiotto come stile,
di schietta impronta fascista.
Imprenditrice del divertimento
e della qualità
Intervista a Claudia Spoto
Da qualche settimana il Paese torna ad interrogarsi sulla interruzione di maternità, riportando in primo pia-
no un dibattito che, in realtà, pur se in forme più o meno larvate, ha sempre attraversato il nostro pensiero
collettivo. Mentre la Regione Lombardia si appresta a presentare una proposta di moratoria, il Segretario del
PD si è dichiarato disponibile ad aprire un dialogo bipartisan ed il Ministro per la Salute Livia Turco chiede
un parere al Consiglio superiore di sanità sulla sussistenza di vita autonoma del feto ma anche sulle modali-
tà di impiego della RU486, rilevando comunque che la Legge 194 "è una legge saggia, lungimirante, quanto
mai attuale". Certamente la legge ha messo un freno, anche se non ha debellato, la piaga dell'aborto clande-
stino e dalla sua applicazione la percentuale delle interruzioni di maternità è gradualmente diminuita, pur continuando ad attestarsi su livelli si-
gnificativi, su cui dobbiamo riflettere per meglio applicare la legge e, soprattutto, per costruire intorno all'universo femminile quella rete di consenso
verso la maternità che ancora è carente. Rete di consenso vuol dire primariamente una "cultura della maternità" che superi alcuni edulcorati stereo-
tipi per concentrarsi, nei fatti, su quegli aspetti che sono basilari perché la scelta di essere madri possa essere vissuta con maggiore serenità e che si
può tradurre, interrogandosi primariamente , come ha detto il Ministro Rosy Bindi, su "quante energie oggi vengono impiegate per tutelare la vita e
fare in modo che i padri e le madri siano messi nelle condizioni di accoglierla" ma anche rendendo maggiormente efficace quella rete di garanzie che
permettano una maggiore conciliazione famiglia-lavoro evitando, come spesso avviene, che la nascita del primo figlio si trasformi in una uscita del-
le donne dal mercato del lavoro. E' inoltre fondamentale che nell'ambito della Legge 194 trovino una applicazione più rigorosa le norme fissate dal-
l'art. 2 ed, in particolare, quegli interventi che, attraverso una rivitalizzazione dei consultori familiari, potrebbero contribuire ad un superamento di
quelle cause che portano alla interruzione di gravidanza nonché a fornire quell'opera di informazione, ancora carente, sulla procreazione responsa-
bile, soprattutto nei confronti dei minori. Il dibattito che si profila appare da subito fortemente motivato in entrambi gli schieramenti: è comunque
giusto che la Legge 194 non diventi un totem intoccabile e che, a distanza di tanti anni dal suo varo, si rifletta su come possiamo migliorarla, alla
luce dei progressi scientifici che sono stati fatti ma anche alla luce di una etica della vita forse più forte e consapevole, tenendo presente che l'inter-
ruzione di maternità è sempre e comunque drammatica.
Di certo la Legge n. 194 non dovrà contribuire a dividere un Paese che ha già tante difficoltà a trovare percorsi comuni e di condivisione: il dibat-
tito in corso dovrà essere di proposta, di riflessione, ma anche di concertazione, e le organizzazioni femminili, anche imprenditoriali, dovrebbero es-
sere istituzionalmente presenti.
Rita Casula
Un dibattito per costruire
Mirella Caveggia
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