Numero 2 del 2009
Se 60 anni vi sembran pochi provate voi a lavorar...
Testi pagina 22
Il Ministro Brunetta, responsabile dellaPubblica Amministrazione e dell' Innova-
zione, in relazione alla sentenza della Cor-
te di Giustizia (la sentenza rileva come in
un sistema totalmente contributivo in cui
tanti più anni di contributi si hanno, quan-
to più aumenta l'importo della pensione di
vecchiaia, stabilire per legge che una donna
debba avere meno anni di contributi di un
uomo sia una discriminazione) dell'Unione
Europea, che impone all'Italia l'innalzamen-
to dell'età di pensionamento delle donne di-
pendenti pubbliche a 65 anni, cancellando
così le differenze di trattamento tra i due
sessi, ha inviato alla UE una comunicazio-
ne dichiarando che l'equiparazione verrà
realizzata. La sentenza, e la conseguente af-
fermazione del Ministro, hanno suscitato
un polemico dibattito che ha messo in luce
posizioni differenti: chi considera l'equipa-
razione dell'età pensionabile una misura
che va nella direzione della cancellazione
della discriminazione e chi la pensa esatta-
mente all'opposto. Vediamo perché.
I favorevoli
Chi è favorevole all'applicazione della sen-
tenza della Corte di Giustizia Europea (Ra-
dicali, Governo e il Pd con una posizione
interlocutoria legata all'aumento dei servizi
di Welfare) costruisce la propria opinione
su due dati: da una parte solo il 17% delle
donne conclude il percorso lavorativo con
la pensione di anzianità mentre la maggior
parte, a causa della vita lavorativa più dis-
continua, esce dal mercato del lavoro con
una pensione di vecchiaia; dall'altra l'ana-
lisi dei dati dell'INPS - Istituto Nazionale
Previdenza Sociale - e dell'INPDAP - Istituto
Nazionale di Previdenza per i Dipendenti
dell'Amministrazione Pubblica - rivela che
la pensione media mensile di vecchiaia per-
cepita dalle donne sia pari al 52%. Andare
in pensione prima significa avere una mino-
re anzianità contributiva, che va ad incide-
re su un reddito già mediamente più basso
rispetto ai colleghi maschi, a causa di una
vita lavorativa più corta e stipendi inferio-
ri. E spesso l'uscita anticipata della donna
dal mercato del lavoro non risponde a un'e-
sigenza di compensare la discriminazione e
il doppio lavoro ma alla necessità di avere
persone disponibili a realizzare il lavoro di
cura e assistenza dei bambini e degli anzia-
ni, insomma tutto ciò che i servizi pubblici
di Welfare non coprono. Si propone quindi
di utilizzare il risparmio nell'erogazione del-
le pensioni e le maggiori entrate contributi-
ve che si determinerebbero, per servizi di
child care e assistenza agli anziani. Dalle
stime realizzate, nel primo anno di innalza-
mento dell'età pensionabile, le casse dello
Stato risparmierebbero circa 468 milioni di
euro per mancata erogazione delle pensioni
e circa 213 milioni di euro per i contributi
previdenziali versati dalle dipendenti che
continuerebbero a lavorare. Nel secondo
anno queste cifre ascenderebbero rispettiva-
mente a 935 e 425 milioni di euro (dati
tratti dai materiali del Convegno Plurale
Femminile. Proteggere di meno, includere di
più organizzato dai Radicali Italiani). Se-
condo questo punto di vista, nel panorama
italiano, in cui il tasso di occupazione fem-
minile è bloccato al 46,7% (penultimo in
Europa), il differenziale retributivo di gene-
re è del 23% e, malgrado gli ottimi risultati
scolastici, in media migliori rispetto agli
uomini, le donne hanno difficoltà a rag-
giungere ruoli direttivi, sarebbe meglio equi-
parare l'età della pensione, investire il ri-
sparmio su politiche che incentivino i sala-
ri e le opportunità di carriera, aumentare i
servizi di welfare e dare riconoscimento al
lavoro di cura.
I contrari
L'area Rifondazione-Sinistra democrati-
ca e la CGIL la cui Segretaria Confederale
Morena Piccinini ha sottolineato come sia
"singolare che venga interpretata come dis-
criminatoria una norma che è stata pensa-
ta e voluta proprio per agevolare le donne,
offrendo loro un'opportunità in più, quella
di scegliere se continuare o meno a lavora-
re". Infatti la legge sulla parità di tratta-
mento del 1977 ha stabilito che le donne
possono, se vogliono, continuare a lavorare
fino agli stessi limiti di età fissati per gli uo-
mini anche se hanno già raggiunto i requi-
siti necessari per accedere alla pensione di
vecchiaia; quelle che lavorano in una am-
ministrazione pubblica, inoltre, hanno la
facoltà, in base a quanto stabilito nel de-
creto legislativo 503 del 1992, di continua-
re a lavorare fino a 67 anni.
La Riforma Maroni del 2004 (legge
243), è intervenuta sul tema e ha decretato
un'età pensionabile fissa di 60 anni per le
donne, 65 per gli uomini, modificando com-
pletamente la Riforma Dini del 1995 che in-
troduceva la possibilità del pensionamento
flessibile con età 57 - 65 anni, per uomini e
donne. E' evidente che a fronte di un sistema
di calcolo della pensione che si basa sui
contributi versati, come quello attuale, l'es-
sere costrette ad andare in pensione prima
febbraio 2009 noidonne22
La giusta pensione
Parità
Nadia Angelucci