Numero 6 del 2010
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Testi pagina 20
Quando nel 1987 Clara Sereni inven-tò il termine "casalinghitudine", lo
associò a un modo di raccontare la vita
attraverso il cibo, e le sue diverse mo-
dalità di preparazione. Semplici ricette
che scandivano il racconto di una vita.
Ogni piatto, ogni preparazione, rievoca-
va un frammento di memoria, un incon-
tro, un periodo. L'infanzia, i rapporti fa-
migliari, l'amore, l'impegno politico, gli
affetti, la maternità. Così il '68 ruotava
intorno a una pasta e fagioli, e il padre
che discute con Nenni si legava a una
frittata di zucchine. Una sorta di lin-
guaggio parallelo, in grado di racconta-
re qualcosa in più o qualcosa di diverso
da quello che la parola dice.
Se per il dizionario italiano il termine
casalinga indica "donna che si dedica
esclusivamente alla casa", nella realtà
dei fatti il termine "casalinghitudine"
appare forse più consono oggi a rappre-
sentare una forma di linguaggio che tie-
ne insieme i tanti ruoli che le donne vi-
vono. In un certo senso l'opposto di
quanto rappresentato dall'espressione
"casalinga di Voghera", inventata da
Alberto Arbasino e molto comune nel
lessico giornalistico, con cui si intende
rappresentare quella fascia di popola-
zione italiana piccolo-borghese, dal
basso livello di istruzione e che svolge
un lavoro molto semplice o umile. Uno
strato sociale peraltro da rispettare "per
il suo senso pratico di stampo tradizio-
nale di cui è portatore".
Le due espressioni indicano un diver-
so modo di vedere il lavoro casalingo, e
il primo termine è stato utilizzato per
aprire una riflessione sul lavoro dome-
stico. Ma il lavoro domestico e di cura,
ancora oggi a prevalente appannaggio
del genere femminile come ci conferma
l'ISTAT ormai da troppi anni, non è per
le donne visto come destino se oltre il
79% delle risposte affermano che non è
- o non dovrebbe essere - né maschile né
femminile. Purtroppo sulle risposte pesa
quello scarno 3% di chi dichiara essere
ormai una realtà condivisa fra i generi.
E le risposte aperte si sono focalizza-
te su alcuni punti comuni: rispetto al
lavoro di cura esiste una precisa perce-
zione che "si vuole che sembri un desti-
no femminile, e non una capacità da
apprendere e quindi acquisibile da tut-
ti"; "le donne debbono ri-
pensare l'educazione dei
figli maschi" che troppo
spesso esonerano dai
compiti di aiuto in casa.
Quanto vale il lavoro
domestico e di cura? Nel
corso degli anni, in as-
senza di una espressa
previsione di legge, la giurisprudenza
dei tribunali e della Cassazione si è di-
mostrata molto sensibile verso questa
problematica e oggi l'orientamento pre-
valente ritiene che l'attività di casalinga
sia una attività suscettibile di valuta-
zione economica, pertanto la sua com-
promissione genera un danno patrimo-
niale che dovrà essere risarcito. La Cas-
sazione, infatti, ha ribadito più volte
che si tratta di una attività che "non si
esaurisce nelle faccende domestiche",
ma si estende al coordinamento della
vita familiare e il suo fondamento va
rinvenuto nell'art. 4 della Costituzione
ovvero nella libertà di
scegliere qualsiasi forma
di lavoro.
Un lavoro che presen-
ta anche seri problemi di
sicurezza, e le statistiche
sugli infortuni domestici
de l l 'O rgan i zzaz ione
Mondiale della Sanità
evidenziano come il 41%
delle donne che lavorano
fra le mura domestiche
siano tra queste ricom-
prese.
Già nell'art. 1 della L.
125/91, alla luce dei dati che indicava-
no nella doppia presenza delle donne
(divise tra il lavoro casalingo e quello
professionale) le origini delle mancate
pari opportunità tra donne e uomini nel
lavoro, si forniva un importante spunto
per le azioni. Si suggeriva, attraverso
azioni positive, di "favorire - anche me-
diante una diversa organizzazione del
lavoro, delle condizioni del tempo di la-
voro - l'equilibrio fra responsabilità fa-
miliari e professionali e una migliore ri-
partizione di tali responsabilità fra i
due sessi". Se la cultura ancora non ha
fatto i necessari passi, la realtà dei fatti
ci pone davanti a condizio-
ni molto differenti dal pas-
sato: un pari desiderio di ri-
conoscimento nel lavoro
per donne e uomini, la ne-
cessità di un doppio reddito
familiare, orari sempre me-
no tradizionali, cambia-
menti che impongono alle
giovani generazioni un sal-
to di qualità. La condivisio-
ne non più come scelta ma come neces-
sità. Del resto, afferma una lettrice, "pu-
lizie e cura sono una sorta di manuten-
zione della vita di tutte e tutti, e come
tali debbono essere a carico di tutte e
tutti" Qualche anno fa, in una ironica
striscia di Pat Carra, un uomo lamenta-
va che oggi "non ci sono più le donne di
una volta" fino ad arrivare - nell'ultimo
riquadro - a confessare che la diretta
conseguenza di ciò era quella di "tante
camicie da stirare". La nostra risposta
oggi potrebbe essere molto semplice:
"Caro, l'asse da stiro e il ferro sono nel-
lo sgabuzzino!"
Casalinghitudine. Un "affare"
per le donne? Rosa M. Amorevole
Sondaggio di maggio
giugno 2010 noidonne20
“La parola casalinghitudine, oltre
che nel linguaggio comune, è
ormai entrata nel dizionario. Solo
che ha perso il suo significato
originario e originale, che era un
significato critico. L'idea del para-
diso perduto delle nostre madri,
dell'onnipotenza che non c'è più,
altro non è che l'affermazione del
contrario, del fatto che quella
beatitudine della casa non c'è mai
stata. Per le donne che proprio
oggi sono ben poco potenti, è un
termine attualissimo”.
Clara Sereni, 2010