Numero 8 del 2016
Felicità, parliamone
Testi pagina 20
18 Luglio-Agosto 2016
C’è una felicità riconducibile alle scelte prese nella dimensione pubblica e politica, ma non sempre ci rendiamo conto di poter es-
sere parte di questo processo, come massa più o meno
critica che vota, acquista e consuma, o addirittura come
singole persone che vivono, pensano, leggono e agiscono,
cercando di sottrarsi al meccanismo.
Serge Latouche, teorico della “decrescita serena”, nel re-
cente incontro “Crescita, recessione, decrescita, un cerchio
che si chiude” (Cipax-Roma, maggio 2016) ha detto: “quando
gli organismi crescono, si trasformano; un seme non diventa
un seme gigantesco, il seme diventa una pianta, questo è lo
sviluppo: la trasformazione qualitativa di un fenomeno quanti-
tativo. […] Quando gli economisti hanno preso in prestito que-
sta metafora, si sono dimenticati alcune cose: 1) l’economia
non è un organismo e, anche se lo fosse, dovrebbe a un certo
punto morire. Si può pensare alla società umana nel suo rap-
porto con l’ambiente come un organismo, metaforicamente
(l’ha fatto il grande biologo britannico James Lovelock, par-
lando di pianeta vivente Terra-Gaia). 2) Gli organismi vivono
in una dipendenza reciproca, mentre l’economia prende dalla
natura tutte le materie prime e butta rifiuti, senza considerar-
ne l’interdipendenza. […]Uscire da una società per costruirne
una nuova vuol dire fare una rivoluzione delle menti, dell’im-
maginario, si deve decolonizzare l’economicismo e soprattut-
to la fede nella crescita. E la decrescita? Prima di tutto è uno
slogan, perché decrescere per decrescere sarebbe una cosa
stupida, né più né meno di crescere per crescere… quando
si comprende che la crescita infinita è un’assurdità si apre la
possibilità di un’alternativa, che io chiamo la società dell’ab-
bondanza frugale […] in contrapposizione a un paradossale
sviluppo sostenibile. Lo sviluppo è tutt’altro che sostenibile, è
un modo di prolungare ancora il mito della crescita. […] Per
risolvere il problema terribile della disoccupazione, si deve ri-
localizzare, riconvertire, ridurre. Rilocalizzare, se prendiamo
sul serio la parola, significa ritrovare localmente una vita eco-
nomica sociale, politica, culturale; significa demondializzare.
La globalizzazione è stato un gioco al massacro su scala pla-
netaria. La cosa nuova non è la mondializzazione dei mercati,
bensì la mercificazione del mondo, questa è la verità della
globalizzazione. Lo slogan ‘lavorare di più per guadagnare
di più’ è assurdo: ce lo dice la stessa scienza economica con
la famosa legge della domanda e dell’offerta: se si lavora di
più, aumenta l’offerta, ma se la domanda è inferiore all’offerta
il risultato è il calo del prezzo della valuta e dello stipendio.
Questo si è verificato negli ultimi anni; si lavora sempre di più
e gli stipendi sono sempre più bassi. Quindi possiamo dire:
lavorare meno per guadagnare di più e lavorare meno per
lavorare tutti e soprattutto lavorare meglio per vivere me-
glio, allora: riduzione drastica degli orari di lavoro, fino alla
piena occupazione. Questo sarebbe un primo passo nel sen-
so della decrescita, del cambiamento: ritrovare il senso della
vita contemplativa, giocare, pensare, pregare, meditare, so-
gnare. Tutto questo non per produrre di più, ma per soddisfa-
re i bisogni e per andare verso una società dell’abbondanza
frugale. Sembra un ossimoro, perché pensiamo di vivere in
una società dell’abbondanza (tutti ce lo dicono, anche attra-
verso la pubblicità) invece viviamo in società dello spreco, di
scarsità e frustrazione”.
lA TOu Ch E, vAugh AN, dEg AN.
sOCIET à, ECONOmIA, POl ITICA,
Cul Tu RA E NATu RA s ONO
CONsum ATE dAll A CRIs I IN ATTO.
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RIFONdARl E E RICOs TITu IRl E
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FELICITÀ. Parliamone | 4
di Elena Ribet
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