Numero 10 del 2007
50E50: il 13 ottobre tutte a Roma
Testi pagina 2
Non si sa se la compagna di PegahEmambakhsh, detenuta in Iran e
condannata a morte sia già stata la-
pidata o no. L'attenzione dei media e
delle associazioni per i diritti umani
ha rivolto l'attenzione più su Pegah,
rinchiusa dal 25 agosto all'11 settem-
bre come immigrata illegale nel centro
di detenzione di Yarl's Wood, dove sta-
zionano gli stranieri in attesa di essere
deportati al loro paese d'origine: un
luogo che speriamo non assomigli
troppo ai campi per immigrati del film
"I figli degli uomini", ambientato pro-
prio in Gran Bretagna, in cui gli stra-
nieri illegali, prima di essere espulsi,
erano fermati e relegati in un inquie-
tante ghetto.
L'Inmigration Court deciderà se
concedere o meno lo status di rifugia-
ta a Pegah, tenuta prigioniera 19 gior-
ni del democratico stato britannico
per non avere dimostrato in maniera
inconfutabile la propria condizione di
omosessuale, nonostante al rientro in
Iran sarebbe torturata e lapidata! Co-
me se davvero la cosa più importante
da dire su Pegah sia il suo orienta-
mento sessuale e non il fatto che siano
stati violati i suoi diritti umani di per-
sona. E ripetutamente: nel suo paese
che presume lecita l'intromissione del-
lo Stato nel privato e che prevede la
tortura, la lapidazione e la pena di
morte per gli omosessuali; nel paese in
cui chiede rifugio che non solo si in-
tromette ma viola il suo privato an-
dando a indagare e verificare il suo
modo di amare; dai giornalisti d'as-
salto curiosi di sapere ancora di più
sulla sua storia; dalle leggi che per-
mettono tutto questo; dalla logica del-
le esclusioni, identica nel mondo isla-
mico come dovunque: solo se scegli di
essere etichettato puoi accedere a un
diritto, solo se davvero perseguitabile
puoi essere considerata perseguitata,
solo se accetti una qualsiasi di questa
gabbie potrai, forse, un giorno essere
libera.
E se Pegah non avesse voluto dirlo
di essere un omosessuale? O se nel frat-
tempo volesse cambiare idea? Se il mo-
tivo per cui era scappata da una legge
oppressiva era perchè avrebbe voluto
provare a deciderla lei la forma della
sua libertà, o della sua gabbia? Crede-
va che almeno questo fosse possibile
nell'universo e nel tempo (più di 50
anni) dove è stata sottoscritta la Di-
chiarazione Universale dei Diritti
Umani e le varie convenzioni ad essa
connesse.
Ma chi è e cosa dice Pegah Emam-
bakhsh per cui la società civile italia-
na si è mossa al punto tale (appelli e
petizioni promossi dal gruppo EveryO-
ne, articoli comparsi su stampa e in-
ternet) da far dichiarare alla ministra
Barbara Pollastrini e al sindaco di Ve-
nezia Cacciari che se verrà deportata
dall'Inghilterra potrà trovare rifugio
qui da noi in Italia?
Della storia di questa donna, che
ha dichiarato preferire morire piutto-
sto che essere costretta a rimpatriare,
si sa molto poco: oggi ha quaranta an-
ni, è arrivata in Europa nel 2005, fug-
gendo all'arresto. Anni prima le erano
stati tolti i due figli, e negato ogni di-
ritto di vederli, vigendo in Iran la leg-
ge del patriarcato (qualsiasi essa sia)
che punisce la madre immorale. Cose
che da questa parte del mondo succe-
devano esattamente allo stesso modo
fino a meno di un secolo fa.
Non ci vuole molto a immaginare
perchè la prospettiva di morire non sia
apparsa tra le peggiori a Pegah. Eppu-
re nelle poche affermazioni che è ri-
uscita a fare dal momento del suo ar-
resto più che disperazione trapela la
capacità di guardare a quel che di
buono la vita le sta offrendo, pur nel-
lo sbigottimento di avere trovato altro
da quello che si aspettava.
Il 3 settembre dichiarava al quoti-
diano La Stampa: "Mi era stato detto
che il Regno Unito è uno Stato molto
accogliente con i profughi, molto at-
tento ai diritti della persona. Se devo
essere sincera, quando sono arrivata
qui, ero convinta di essere finalmente
al sicuro. Avevo perduto tutto, ma
non rischiavo più la pelle. Invece è
andata diversamente".
Lei si aspettava libertà ed invece si
ritrova reclusa ma colpita da inaspet-
tati gesti d'amore, che devono averle
fatto cambiare prospettiva se così scri-
ve nell'ultimo comunicato trasmesso
dal centro di detenzione l'8 settembre
2007: "Non posso nascondere che ho
ancora paura e che il distacco dai
miei amati figli mi dà un dolore che a
volte sembra insopportabile. Non im-
maginate neanche quanto mi sia di
conforto sapere che ci siete voi.
Non mi conoscete neanche eppure
vi impegnate per me, vi esponete per
me, lottate per me, mi scrivete e mi
mandate fiori meravigliosi. ... Non im-
maginavo che esistessero gruppi ed es-
seri umani come voi. Spero che il futu-
ro mi conceda di conoscere una per
una le persone che mi hanno dimo-
strato tanta amicizia. Sono rasserena-
ta, sono felice di tutta questa prote-
zione, di tutto questo amore che mi in-
fonde energia e volontà di continuare
a vivere".
In attesa di sapere cosa ne sarà di
Pegah resta un dubbio: quante perso-
ne, nel civilissimo mondo dei diritti
umani, vengono deportate a sicure
condanne o torture nei propri paesi di
origine solo perchè - qualsiasi sia il lo-
ro reato, condizione, scelta, gabbia,
fede, o la loro speranza - non riescono
a fornire garanzie sufficienti per essere
ritenuti degni di diritto d'asilo?
ottobre 2007 noidonne2
Pegah Emambakhsh
Giovanna Providenti