Numero 7 del 2007
Uomini contro la violenza sulle donne
Testi pagina 2
Un ricordo di Genoeffa Cocconi
Lo scorso 11 giugno è morta Ma-
ria Cervi, figlia di Antenore, la più
grande dei bambini rimasti orfani
dei sette fratelli martiri della Resi-
stenza. 'noidonne' affida alla sua
parola il ricordo e la storia, che fu
della sua famiglia ma anche dell'I-
talia e delle donne.
Il profilo della figura di mia nonna
Genoeffa che nel tempo si è delineato
nel mio pensiero è il frutto di ricordi
personali, del mio vissuto, troppo bre-
ve, con lei; è morta che avevo solo die-
ci anni, ma è un ricordo costellato di
tanti momenti intensi e significativi che
mi hanno segnato al punto da condur-
mi negli anni alla ricerca di una mag-
giore conoscenza di lei, una più pro-
fonda comprensione della sua persona-
lità. Ho trovato importanti risposte nei
racconti di mio nonno Alcide, di mia
madre Margherita, delle altre tre nuore:
le mie zie Iolanda, Verina e Irnes e del-
le sue due figlie, le mie zie Diomira e Ri-
na, di nostro cugino Massimo. Tutti
hanno rappresentato, dopo la fucila-
zione dei nostri padri, la prima fonte di
una più approfondita conoscenza di lo-
ro: chi erano, cosa volevano e che cosa
avevano fatto. Ne avevo bisogno, per
stabilire il contatto con le mie radici e
colmare, almeno in parte, il vuoto ter-
ribile che avevo dentro.
Proseguendo nel tempo, le mie fonti
si sono moltiplicate e ho trovato nuove
risposte nelle conversazioni con gli al-
tri parenti, gli amici di famiglia, i com-
pagni di lotta e - per mia nonna in par-
ticolare - con la zia Maria, sua adora-
ta sorella, con le cognate che erano so-
pravvissute, con le nipoti dirette ed ac-
quisite, tutte più grandi di me e che io
ritenevo fortunate perché avevano vis-
suto con lei un rapporto da adulte. Col
procedere di questa operazione di ricer-
ca personale, con la maturità ed ora
con l'esperienza dell'anzianità, si è ra-
dicata in me la consapevolezza che
mantenere la sua figura all'ombra di
quella del marito come avvenuto fino
ad ora, e cioè per sessant'anni, sia sta-
to, sì, l'effetto delle circostanze più fa-
vorevoli che la vita ha riservato a lui
con la riconquistata salute e la prolun-
gata sopravvivenza, ma anche frutto
del maschilismo da cui anche gli am-
bienti democratici non sono stati im-
muni.
Quante volte durante le cerimonie e
le commemorazioni ho sentito l'oratore
di turno pronunciare, pur nel contesto
di discorsi importanti, commoventi e
ben strutturati, la frase: "Questi sette
fratelli, figli di Alcide", mentre ogni vol-
ta si rafforzava in me la convinzione
che non fosse giusto; quei sette fratelli
sono figli di Alcide e di Genoeffa, non
soltanto perché lei li ha partoriti, allat-
tati e nutriti, ma perché "insieme" li
hanno cresciuti, educati all'amore per
al famiglia e per il lavoro, ma anche
per la lettura, per lo studio, per il gusto
della comunicazione e del reciproco
ascolto.
Sono stati Alcide e Genoeffa "insie-
me" a trasmettere ai figli i valori di pa-
ce, di libertà e di giustizia che sono poi
diventati base delle loro scelte più im-
portanti. Sono convinta che se loro (i
sette fratelli) hanno saputo dare tanto
nel lavoro, nella famiglia e nel sociale
non è perché fossero così eccezionali,
erano uomini come tanti, con forze e
debolezze, con pregi e difetti; le marce
in più che hanno saputo innestare nel
motore della vita erano dovute alla ca-
pacità di ognuno di ascoltare l'altro e
di fare del parere di tutti una grande
forza; ma ciò ha potuto essere perché
hanno avuto un padre come Alcide e
una madre come Genoeffa.
L'immagine di lei che il tempo ci ha
trasmesso, di una moglie e madre vis-
suta all'ombra del marito e dei figli,
non le rende giustizia. Ho fiducia che,
con le celebrazioni dei "sessantesimi",
la riflessione su questo tema si apra al
giusto indirizzo. Anche sostenere, come
qualche volta ho sentito, che Genoeffa,
come le altre donne di questa famiglia
e di tante altre famiglie protagoniste
nella Resistenza, non erano a cono-
scenza dell'attività dei loro uomini, o
quantomeno che ne furono spettatrici
passive, non rende giustizia; non a Ge-
noeffa, non a Jolanda, Margherita, Ve-
rina ed Irnes, non a tutte le donne del-
le famiglie contadine della nostra e di
tante province italiane, che pur nel-
l'ombra e nel silenzio hanno partecipa-
to attivamente alla Resistenza renden-
done possibile lo svolgimento e l'esito
vittorioso.
In circa quattro mesi, dal 25 luglio
al 25 novembre 1943, la nostra casa
ha ospitato oltre ottanta uomini: reni-
tenti alla leva, disertori e poi, dopo l'8
settembre, prigionieri scappati dalle
mani dei tedeschi, fino alla piccola
squadra che è partita verso la metà di
ottobre per raggiungere l'Appennino e
cominciare la resistenza armata in
montagna. Tutto questo ha comportato
un grande lavoro: per la preparazione
dei pasti, a cominciare dal pane che si
confezionava e si cuoceva in casa, per
la trasformazione di abiti militari in ci-
vili, per le cure ai malati e le medica-
zioni ai feriti, per l'attenzione e la vigi-
lanza indispensabili a garantire riser-
vatezza e clandestinità al movimento.
Un grande lavoro per sostituire gli uo-
mini nella quotidianità della stalla e
dei campi, quando questi erano assenti
perché latitanti o impegnati in attività
della Resistenza.
Le donne di casa Cervi, come quelle
di tante famiglie italiane, sono state
non solo supporto consapevole ma ar-
tefici dirette di questa rete di sostegno
invisibile ma determinante. E anche Ge-
noeffa lo è stata, anche lei è stata una
donna della Resistenza.
Dopo la fucilazione dei sette fratelli
la famiglia ha continuato a collabora-
luglio/agosto 2007 noidonne2
Maria Cervi
continua a pag. 14