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Numero 11 del 2008

L'inverno dei diritti


Foto: L'inverno dei diritti
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Testi pagina 2

Malalai Kakar, assassinata dai Tale-bani la mattina del 29 settembre
2008 mentre usciva di casa insieme a
uno dei suoi figli (rimasto gravemente
ferito), non era solo una delle poche
donne poliziotto in Afganistan. Era la
prima donna in Afganistan ad aver fre-
quentato ed essersi diplomata all'Acca-
demia di Polizia, la prima donna ad as-
sumere il ruolo d'inquirente e dirigente
del dipartimento dei crimini contro le
donne di Kandahar, la poliziotta più ce-
lebre della nazione, e, soprattutto, era
un simbolo di giustizia per le donne.
Kandahar, un tempo considerata
uno dei centri commerciali più impor-
tanti del paese, in quanto passaggio ob-
bligato delle merci pakistane verso l'I-
ran e l'Iraq, ha visto un conflitto bellico
particolarmente aspro ai tempi dell'in-
vasione della Russia Sovietica ed è oggi
una delle più conosciute roccaforti del
fondamentalismo islamico dei Talebani,
che, interpretando la sharia a proprio
uso e consumo, miete il terrore tra la po-
polazione e vieta alle donne di lavorare,
studiare e persino di uscire di casa se
non accompagnate da un uomo.
Malalai Kakar, che all'epoca dell'in-
vasione sovietica, nel 1979, era una
adolescente, entrò in polizia nel 1982.
Ma dopo meno di quindici anni fu co-
stretta ad esiliare: quando i Talebani si
imposero al potere in Afganistan, dal
1996 al 2001 lei, insieme ad altri tre mi-
lioni di afghani, venne accolta profuga
in Pakistan.
Lì rimase per dieci anni, durante i
quali incontra suo marito, un impiegato
delle Nazioni Unite e un "uomo moder-
no", come lo definiva lei. Insieme a lui
forma una famiglia con sei figli, che, al-
la caduta del governo talebano, ritorna
a Kandahar, dove Malalai riprende il
lavoro di poliziotta, per scelta, anzi, per
amore, come lei stessa dichiara in un
video su di lei visionabile sul sito di
youtube.
Il video la riprende dapprima duran-
te il tempo in cui si prepara per andare
al lavoro e poi durante il suo esercizio
quotidiano presso la postazione di poli-
zia dove lavora, mentre indossa la sua
uniforme e carica con le pallottole pri-
ma una pistola e poi il kalashnikov.
Malalai racconta la sua storia a chi la
sta riprendendo: "Mio padre insegna al-
l'accademia di polizia.
Mi sono arruolata nelle forze di poli-
zia perché mio padre mi ha trasmesso
l'amore per il suo lavoro. Io mi sento co-
raggiosa, onesta e forte e, al lavoro, mi
sento come un uomo".
Poi Malalai, coprendosi interamente
con il burqa si dirige verso la stazione di
polizia dove lavora e dove viene ripresa
mentre svolge le sua attività quotidiane:
in divisa, con il burqa alzato e pesante
sopra la testa e noncurante della teleca-
mera. Prima fa fare pace a due vicini,
facendo chiedere scusa al responsabile
dell'offesa e facendogli promettere di
non ripetere più il torto.
Poi accoglie due donne in burqa. In-
vitandone una a sedere accanto a lei, le
alza il burqa e, infilandovisi dentro per
guardarla bene in volto, le chiede: "cos'è
successo? che ti ha fatto davvero tuo
marito, eh?"
Oltre a questo video, su internet si
trovano numerosi articoli della stampa
internazionale che parlano delle opera-
zioni di sequestro di armi e di droga nel-
la zona di Kandahar cui lei aveva preso
parte, e la descrivono come una perso-
na eccezionale il cui nome, oltretutto,
rinvia a una eroina afghana della guer-
ra contro i britannici, alla fine del 19°
secolo.
In una intervista fattele da "Marie-
claire" (www.marieclaire.com/world/
news/kandahar-cop-4) Malalai raccon-
ta dei molti messaggi con le minacce di
morte che ogni mattina strappa dalla
porta di casa prima che i figli possano
vederle, del suo lavoro in polizia e dei
molti episodi di quotidiana sopravvi-
venza e sopraffazione in un mondo così
difficile come è l'Afganistan di oggi.
Inoltre si sofferma sulla necessità della
presenza femminile in polizia e in tutti i
servizi pubblici per permettere alle don-
ne, cui è vietato interagire con uomini
estranei, di potere ricevere assistenza da
dottori, assistenti sociali, avvocati, etc.
Il bisogno di tali figure femminili è
particolarmente sentito in un paese in
cui il tasso di assassinii domestici e vio-
lenza contro le donne è altissimo, in cui
il 60% delle ragazze sono costrette a
sposarsi all'età di sedici anni, e in cui
non sono poche le donne che, in segno
di protesta, si uccidono dandosi fuoco.
Non sono neanche poche le donne che
formano reti di auto-aiuto tra loro e/o
che trovano il coraggio di denunciare le
sopraffazioni subite. E per trovare que-
sto coraggio è spesso determinante la
presenza di un'altra donna che bussi al-
la loro porta.
"Le cose che faccio io gli uomini non
le farebbero mai. - diceva Malalai alla
giornalista di Marieclaire - Mi ricordo
di quel caso in cui continuavo a bussa-
re alla porta ma i bambini non mi vole-
vano aprire.
Coperta dal mio burqa dissi loro che
ero una zia, e così mi aprirono". Quan-
do entrò nella casa trovò una donna e
suo figlio incatenati piedi e mani, so-
pravvissuti per dieci mesi a solo pane e
acqua. Si trattava di una vedova rispo-
sata al cognato il quale dopo averne
abusato l'aveva ripudiata e lasciata in
queste condizioni.
"I Talebani possono minacciarmi" di-
ceva ancora Malalai Kakar "Ma le don-
ne e i bambini mi amano, perché sanno
che ho salvato, e posso continuare a
salvare, molte di loro."
novembre 2008 noidonne2
Malalai Kakar
Giovanna Providenti
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