Numero 1 del 2008
Siamo in movimento
Testi pagina 2
Èproprio lei, Jamila Mujahed, la gior-nalista afghana che, dopo la caduta
del regime talebano nel 2001, ha fonda-
to la rivista di cultura e società Mala-
lai, dedicata alle donne ed ha dato vita
alla radio "Voce Donna", un'emittente
che è davvero una voce nel deserto, da-
ta la situazione di anarchia e povertà
sociale e culturale in cui si trova oggi il
paese, basti pensare che l'analfabetismo
femminile raggiunge all'incirca il 90%:
la radio, che riceve una sovvenzione
dall'Unesco per sopravvivere e trasmet-
te nelle lingue più diffuse del paese, Da-
rì e Pashtun, è un veicolo privilegiato
per far circolare le informazioni e per
promuovere il lento processo di emanci-
pazione delle donne afghane.
Jamila è in transito in Italia per pre-
sentare il libro Burka! (patrocinato da
Amnesty International, edito da Don-
zelli), 24 tavole illustrate realizzato in
collaborazione con la disegnatrice ita-
liana Simona Bassano di Tuffillo nel
corso di un incontro alla Casa Interna-
zionale delle Donne a Roma ringrazia
tutte le sorelle italiane e sorride con un
volto pieno di intelligenza ma che svela
un fondo di amarezza negli occhi men-
tre parla delle sofferenze e delle violenze
inflitte alle donne nel suo paese.
"Provengo da una famiglia di intel-
lettuali che mi hanno consentito di fare
quello che ho fatto. Noi donne dobbia-
mo spalleggiarci in tutto il mondo, per-
ché il nemico è uguale per tutte noi: le
storie delle donne afghane sono molto
più drammatiche di quanto non sembri
dall'esterno.
Non basta visitare Kabul come fanno
molti giornalisti che vengono per poco
tempo e poi se ne vanno, senza appro-
fondire". Fu proprio lei a dare l'annuncio
ufficiale della caduta del regime taleba-
no (scortata a Radio Kabul in burka per
la pericolosità del paese in quei giorni),
prima del cui avvento, nel 1996, Jamila
era una nota giornalista radio-televisi-
va poi allontanata dagli incarichi pub-
blici e bandita dalla società civile, come
molte altre persone, specialmente don-
ne.
Durante il racconto di Jamila, emer-
gono i vissuti dolorosi delle donne e le
reiterate violazioni dei diritti elementari
ma nella sua voce ferma ci sono anche
gli sforzi energici di lotta e resistenza
non violenta, le strategie di sopravvi-
venza come quelle poste in atto da Ja-
mila e dalle sue colleghe della radio: la
giornalista ha ricevuto numerose mi-
nacce di morte con l'accusa di corruzio-
ne dei giovani e propaganda anti-reli-
giosa ed è costretta a girare col burka
per non essere riconosciuta.
"In Afghanistan ci sono molti fonda-
mentalisti e non sono solo i talebani: so-
no molto forti, anche perché il governo
si è ancora indebolito dopo la caduta
dei talebani, lì per lì c'era molta più si-
curezza, ora si torna indietro e le donne
indossano di nuovo il burka e molte gio-
vani vengono ritirate dalle scuole.
Non basta, a molte scuole femminili
viene dato fuoco e le donne afghane non
possono parlare di certi argomenti, né
studiare perché la famiglia del padre
non lo consentirebbe. Inoltre, non aven-
do l'indipendenza economica queste
donne morirebbero subito fuori dalla fa-
miglia. Finché non saranno indeboliti i
fondamentalisti la situazione delle don-
ne non cambierà, finchè le donne non
verranno informate non potranno recla-
mare alcun diritto.
Una delle nostre lotte è quella di con-
vincere le donne ad andare a scuola e
studiare, per questo, con cinque colle-
ghe molto coraggiose, abbiamo fondato
la radio, che raggiunge le cinque aree
centrali del paese. La nostra, probabil-
mente, è la più piccola radio del mondo
e l'unica diretta da una donna in un
Paese dove la donna non conta assolu-
tamente niente".
Un altro sistema per essere aiutate - e
sembra strano per noi sentirlo dire da
Jamila - è quello di mantenere le forze di
pace ed anche gli aiuti militari, soprat-
tutto quelli europei. La vita per le donne
è invivibile sia nelle città che nelle cam-
pagne e l'elenco dei diritti calpestati è
lunghissimo: le donne che vivono in cit-
tà hanno una vita poco diversa da quel-
le di campagna, entrambe lavorano
fuori e dentro casa e sono soggette alla
violenza degli uomini: chi vive fuori cit-
tà non conosce alcun diritto, tantomeno
quello alla salute e le donne quando si
ammalano neppure in punto di morte
possono chiamare un medico.
Le donne non possono scegliere di
avere figli perché, finchè possono e sono
in grado di procreare, dovrebbero aver-
ne un numero infinito. Non possono di-
vorziare, è l'uomo a scegliere e la fami-
glia di origine non riprende con sé que-
ste ragazze, né qualcuno le risposerebbe
mai. L'unica legge rispettata in tutte le
zone rurali è proprio la Sharìa, benchè
esista una Costituzione nuova, molto
avanzata, che nessuno rispetta.
Anche per le vedove la situazione
non è delle più allegre: continuano a
mantenere la famiglia anche dopo la
morte del marito, non possono risposar-
si e vivono tragicamente abbandonate e
in miseria. "Chi supera queste difficoltà
passa attraverso il fuoco e va dall'altra
parte: la vita mi ha insegnato a vedere
le cose in questo modo.
Noi siamo in guerra coi fondamenta-
listi ed abbiamo solo le nostre parole
per convincerli". Jamila, non a caso, ha
dato alla sua rivista un titolo emblema-
tico, Malalai, il nome di un'eroina stori-
ca dell'Afghanistan, Davide contro Go-
lia al femminile.
gennaio 2008 noidonne2
Jamila Mujahed
Elisabetta Colla