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Numero 2 del 2015

Libere/i di scegliere: gay lesbo Lgbt - Speciale Rebibbia


Foto: Libere/i di scegliere: gay lesbo Lgbt - Speciale Rebibbia
PAGINA 19

Testi pagina 19

17Febbraio 2015
LIbER* DI SCEGLIERE | 4
riferimento per la queertheory, espressione
questa coniata da Teresa de Lauretis nel 1990.
Cosa ha rappresentato il pensiero butleriano
nel contemporaneo dibattito teorico
femminista?
“Questione di Genere” ha avuto un impatto non trascu-
rabile sulla Teoria Femminista. Muovendo dall’attività in-
tellettuale di Butler si è diffusa la nuova consapevolezza
per cui il genere è una sorta di agire, un’incessante atti-
vità in svolgimento. Altro suo contributo molto ripreso in
Italia è l’appello a ripensare le categorie di umano e di
soggetto, appello che esclude i caratteri del postmoder-
nismo. Butler scrive: “Il movimento trans e il movimento
intersessuale a mio avviso non sono postfemministi. En-
trambi, al contrario, trovano nel femminismo importanti
risorse concettuali e politiche, e il femminismo rappre-
senta per loro una continua sfi da, oltre che un alleato”.
Pensi che il queer possa contribuire a
demolire le forme convenzionali della
produzione del pensiero accademico e della
sua trasmissione?
Questa è una bella domanda. Se per sapere accademi-
co intendiamo quello italiano allora dovrei fare dei distin-
guo. Vi sono centri di ricerca virtuosi, dove i queerstu-
dies sono considerati una ricchezza; penso a Verona,
all’attività pioneristica portata avanti da Lorenzo Bernini
e dalle/dai sue/suoi collaboratrici/ori. Penso anche ad al-
cune “docenti femministe” che si sono dimostrate molto
disponibili ad accoglierli, come Federica Giardini e Anna
Simone tra Roma e Napoli. Penso a Bologna e al ruolo
che hanno i queerstudies per la rivista Studi Culturali e
per il nostro corso in Etica e Politica. Insomma un fer-
mento c’è. Nonostante la totale assenza di dipartimenti
veri e propri di gender studies, cosa al contrario molto
diffusa all’estero, non si può dire che i queerstudies non
si siano diffusi a macchia d’olio anche da noi, anche se
riconosco che abbiamo ancora molto da fare. I queerstu-
dies sconvolgono l’impianto classico della trasmissione
del sapere accademico, e questo incute un certo timore
nel sapere istituzionale, per il quale la transdisciplinarietà
e l’orizzontalità rappresentano un pericolo. Ironicamente,
il loro timore è la nostra certezza di aver colto nel segno:
i queerstudies tentano con ogni mezzo di destabilizzare
l’accademia, se non lo facessero l’accademia li neutra-
lizzerebbe. Un esempio notevole di questo tentativo di
destabilizzazione è l’opera di Rachele Borghi a Parigi, il
cui lavoro dimostra come sia possibile per i queerstudies
stare dentro l’accademia rimanendo contro la neutraliz-
zazione dei corpi e la privatizzazione dei saperi.
Hai partecipato all’edizione 2014 della
Primavera Queer, momento di discussione e
formazione sulla teoria queer, organizzata a
Chieti da un gruppo di student* dell’Università
d’Annunzio e dei collettivi Laboratorio
Le Antigoni e La Mala Educacion. Come si
interseca la tua esperienza di dottoranda con i
movimenti creativi che ridisegnano le identità
di genere attraverso esperienze empiriche?
Della Primavera Queer conservo uno splendido ricordo.
Gli/le studenti e studentesse hanno avuto una grande
intuizione e sono stati davvero brave/i nell’organizzazio-
ne. La formazione è un terreno essenziale per il cambia-
mento sociale, ma se formazione signifi ca ripetere ogni
anno la stessa solfa a un gruppo di studenti in un’aula
universitaria, non mi interessa. Ho solo trent’anni e sono
toccate anche a me le classiche lezioni frontali: il circolo
dell’auto-referenzialità. Pensavo che se avessi voluto in-
segnare fi losofi a politica, non lo avrei mai fatto così. Ho
sempre cercato altri tipi di formazione e nella mia espe-
rienza i collettivi universitari sono stati importanti quanto
quelli femministi. Ho seguito la triennale a Napoli, dove
tenevamo corsi autogestiti con la rete Uniriot; invitava-
mo i docenti ma chiedevamo sempre loro di attenersi,
nel preparare le lezioni, alle domande che inviavamo
loro prima. Studiavamo insieme e ognuna/o di noi, a
turno, preparava relazioni introduttive per ogni lezione.
Trasferita a Bologna per la magistrale, ho cercato i col-
lettivi universitari per continuare in questa direzione e
ho incontrato persone stupende. Ho attraversato l’espe-
rienza dell’Onda, partecipato a collettivi femministi. Poi
sono approdata al Centro delle donne e alla Biblioteca
Italiana delle donne. In tutte queste occasioni, ho capito
che la produzione e la trasmissione dei saperi o sono
comuni o, semplicemente, non sono. Per questo biso-
gna osare, cercare nuove forme espressive che preve-
dano lo scambio di conoscenze in direzioni molteplici.
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