Numero 4 del 2016
Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali
Testi pagina 18
16 Aprile-Maggio 2016
dia e Pakistan. Dalla divisione
di Cipro e Corea alle nuove
barriere in Ungheria e Bulga-
ria. In Arabia Saudita le forti-
ficazioni nel deserto mirano a
tener lontane le popolazioni
shiite con strutture in cemento
alte più di tre metri ai confine
con lo Yemen.
In Marocco e nord Africa mi-
gliaia di km di deserto vengo-
no scavati per creare trincee
e rendere impossibile l’attra-
versamento agli automezzi di
terroristi e contrabbandieri. Ai confini con la Libia crescono ormai
quotidianamente le fortificazioni per contrastare la marcia delle
pattuglie jihadiste verso il nord del Maghreb. E poi ci sono i muri
politici voluti dai Governi in ambito neo-coloniale, recinzioni che
blindano letteralmente la vita a intere generazioni, come i palesti-
nesi in Cisgiordania e a Gaza, come i Sahrawi, “gated commu-
nities”. Popoli senza Stato, segregati e ridotti a sopravvivere con
aiuti umanitari in prigioni a cielo aperto per decisione unilaterale
del Governo di Israele o del Re del Marocco. Ancora una volta
sono le donne le principali vittime nei regimi di apartheid. Donne
che subiscono doppiamente la violenza dello Stato e della fami-
glia. “A Gaza sono le prime vittime del disagio sociale, preda di
violenze e abusi che quando non uccidono ammalano” - spie-
ga un responsabile della Croce Rossa -. Sono il bersaglio della
frustrazione di mariti e familiari, uomini che non lavorano e che
passano la giornata in cattività come bestie”.
Tra le popolazioni arabo berbere del Sahara Occidentale le don-
ne sono le più perseguitate da esercito e polizia. I rapimenti sono
all’ordine del giorno. Chi riesce a fuggire dopo anni di torture nel-
le prigioni segrete scavate nel deserto, diventa attivista politica.
Testimone dell’orrore, come le protagoniste del documentario
patrocinato da Amnesty International: “Solo per farti sapere che
sono viva”. Costruito a metà degli anni ’80 dal Governo maroc-
chino per mantenere il controllo su un territorio strategico ricco di
miniere di fosfati, il muro del Sahara Occidentale è tra i più lunghi
del mondo. Oltre 2700 km di filo spinato, bunker, fossati e campi
minati. Emblema dell’architettura dell’occupazione e simbolo del-
la vergogna in epoca di post-nazionalismo. Migliaia di cittadelle
all’apparenza impenetrabili vorrebbero ingenuamente realizzare
quell’eterno bisogno di sicurezza che lo Stato non potrà mai sod-
disfare. Eppure, come scrive Bauman, è da ambienti etnicamente
o socialmente omogenei che si smette di imparare a vivere: “Più
a lungo le persone rimangono in un ambiente uniforme (…) più
perdono quello sforzo di capire, di negoziare, di trovare un com-
promesso che impone il vivere tra e con le differenze”. ?
“Le fortezze sono generalmente
molto più dannose che utili”
Niccolò Machiavelli
Un elegante grattacielo con terrazze a raggiera. I bal-coni ampi con piscina privata e piante ornamentali fuoriescono dalla struttura disegnando un’elica simile al DNA. In basso campi da tennis e strutture sportive
immerse nel verde. A delimitare quest’angolo di bellezza abitativa
sospesa corre un muro che globalmente copre 11 km della città.
Dall’altra parte una delle tante favelas brasiliane con baracche
ammonticchiate l’una all’altra e fogne a cielo aperto. Il contrasto è
feroce ed eloquente come solo una fotografia riesce a dare. L’im-
magine è di Rio del Janeiro ma potrebbe essere scattata anche
altrove. Dappertutto nel mondo la separazione tra ricchi e poveri
può venire marcata da barriere in cemento e filo spinato. Ovun-
que la disperazione economica può essere insopportabile e peri-
colosa da guardare tanto è diventata estranea e non assimilabile.
Come a Lima, la capitale del Perù, nel quartiere di San Juan de
Miraflores: 10 km di recinzione per allontanare gli ultimi nella sca-
la sociale da chi vi sta in cima, rendendo assurda e complicata la
vita soprattutto alle donne, costrette a percorrere molta più strada
per procurarsi acqua e farina. Sono una cinquantina le trincee o
le fortificazioni erette nel mondo per separare gruppi di diversa
etnia e credo religioso, o per far fronte all’ondata migratoria che
tanto preoccupa l’Ue. Dalla frontiera Usa-Messico a quella tra In-
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di Emanuela Irace
sono una cinquantina Le trincee
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neL mondo per separare
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