Numero 7 del 2015
Salute, informazione sinergie. Speciale Expo, Donne in campo - CIA
Testi pagina 17
15Luglio-Agosto 2015
trali nazionali e internazionali, bacino di
possibilità concrete. Inoltre il cinema e la
televisione, per la prima volta nella storia
dell’Accademia, sono diventati parte del
nostro percorso formativo.
Il corso di regia di cui è
responsabile, è frequentato,
in percentuale, più da ragazzi
o da ragazze?
Da quando mi occupo del corso di regia,
dal 2006, vedo una lieve percentuale in
aumento di ragazzi rispetto alle ragazze.
Sempre meno giovani donne si iscrivono
per chiedere l’ammissione. È un segno
della crisi, e della crisi che riguarda so-
prattutto il lavoro femminile, ma va anche
tenuto conto che il corso di regia ogni
anno ammette pochissimi allievi, al massimo cinque. Ci sono
stati anni anche con un solo allievo, o allieva, come Rita de
Donato, diplomata nel 2011. Il numero ridotto è dovuto al fatto
che il percorso didattico di un allievo regista costa, e costa
molto, alla pubblica istruzione. Rispetto al passato, infatti, gli
allievi registi lavorano nel triennio a numerose messe in scena,
gradualmente più complesse, e via via sempre più indipen-
denti dalla supervisione dei docenti. Gli allievi registi hanno
per lo meno due debutti all’anno, spesso tre. Una bella dif-
ferenza rispetto al passato in cui era previsto solo il saggio
di diploma finale. L’esperienza di Pasolini poeta delle ceneri
andato in scena alla Pelanda di Roma, è una di queste “eser-
citazioni guidate”. Credo che la regia si possa insegnare solo
introducendo il giovane regista in un apprendistato, culturale
e teorico, ma soprattutto pratico. Un’esperienza di crescita ar-
tistica i cui presupposti sono impostati dai docenti, ma la cui
prassi è gradualmente sempre più autonoma dai maestri. È
così che i nostri allievi crescono.
Trova che in Italia ci sia un atteggiamento
di diffidenza, nei confronti delle registe?
Forse c’entra il fatto che si tratta di un ruolo
più decisionale, rispetto a quello dell’attore?
Indubbiamente c’entra il ruolo decisionale. Il regista è un ruolo
fatto non solo di doti artistiche, ma anche di carisma, capacità
gestionale e organizzativa. È, sia in teatro che in cinema, il
centro che controlla e determina ogni scelta. Quante donne
vediamo in Italia in ruoli di potere assimilabili? Abbiamo po-
che figure di rilievo tra le registe di successo e mi sembra di
notare, con un certo scoramento, che non ci sia un’inversione
di tendenza. Le registe le possiamo contare sulle dita: Lilia-
na Cavani, Lina Wertmuller, Francesca Archibugi, Cristina
Comencini, Antonietta De Lillo, Alina Marazzi, Esmeralda
Calabri, Cinzia Th Torrini - alcune di
loro hanno insegnato in Accademia - per
il cinema, il documentario e la televisione,
Andrè Ruth Shammah, Emma Dante
per il teatro, e quante altre?
Quali sono le differenze, con il
panorama europeo, e quello USA?
La sensazione a pelle, basata su espe-
rienze personali e non professionali, è
che la cultura anglosassone sia molto più
attenta e aperta alla creatività femminile.
Conosco un poco la Francia, per esserci
stata due anni, giovane normalista italia-
na ospite della più titolata scuola transal-
pina. Nel 1982 le registe in Italia erano
strane eccezioni, in Francia una signora
come Ariane Mnouchkine aveva fondato
e dirigeva un teatro che univa esperienze, attori e collabora-
tori provenienti da tutta Europa: il “Thèatre du Soleil”. Parigi
sembrava, ai miei occhi di ventenne, un altro mondo. Specie
per una donna.
È giusto parlare di “regia di genere”, come per la
scrittura?
Non amo questa distinzione nemmeno in letteratura. Jane Au-
stin, Charlotte Brontë, Virginia Woolf, Marguerite Yourcenar,
Elsa Morante, Alice Munro sono letteratura di genere? Secon-
do me si può parlare solo di letteratura di livello, più che di
genere, e questo per tutte le arti.
Quali sbocchi professionali possibili, per le giovani
che vogliano scegliere questa professione?
Su questo in Accademia lavoriamo molto. È un impegno quo-
tidiano quello di tessere relazioni con le realtà produttive. Molti
dei nostri ragazzi trovano un impiego in queste realtà, e lavo-
rano facendo quello per cui hanno studiato. Oggi è un grande
successo.
Un commento a una frase provocatoria di Fausto
Paravidino: “Conosco diverse registe donne in
teatro, e sono i registi più virili che conosca”.
La solita storia: una donna in gamba è una donna con le palle o
con gli attributi, se ha una bella testa e ragiona come un uomo:
per comandare devi indossare i pantaloni. È un’ossessione per
il sesso maschile, portare le donne che possono eccellere a non
essere donne, a essere come loro, come fossero un errore di
natura, con un gene anomalo, una X al posto di una Y. Ma non è
divertente che sia uno dei giovani autori più intelligenti e affermati
del nostro panorama teatrale a perpetrare questa storia. b
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