Numero 4 del 2016
Europa (in)difesa. Barriere politiche e culturali
Testi pagina 17
15Aprile-Maggio 2016
uno strumento importante - ognuno pensa a sé e si tiene
il suo esercito, peraltro completamente inutile. Siamo il se-
condo continente in termini di spese militari e abbiamo 28
eserciti, 28 politiche estere, 28 servizi di sicurezza… che
è rimasta, appunto, una competenza nazionale. Alcuni ‘il-
lusi’ come me pensano che bisogna andare avanti sulla
strada dell’integrazione, ma l’atmosfera generale è invece
di chiudere le frontiere e che ognuno faccia da sé.
Ci sono leader, orientamenti politici e anche stati
che vedono nel filo spinato e nei muri la soluzione
dell’immigrazione e l’argine al terrorismo…
Al Consiglio europeo non ci sono singoli politici, ma Capi
di stato e di governo che appartengono a partiti democri-
stiani o socialisti..ma anche loro sono nella scia nazionali-
sta: guardiamo l’Ungheria, la Polonia o l’Austria.
Gli slogan dei nazionalisti arrivano chiari, mentre
rimangono flebili le voci di chi propone altre
visioni e idee sulla gestione dei pesanti problemi
che pongono il terrorismo e le migrazioni.
Nessuno vuole parlare di maggiore integrazione europea,
proprio non è aria... Se pensiamo che in questa situazione
gli inglesi hanno il referendum per uscire, il trend è com-
pletamente all’opposto.
Il terrorismo è un fenomeno temporaneo oppure
dobbiamo pensarlo come una realtà in qualche
modo strutturale alla società contemporanea?
Dobbiamo sapere che nel mondo islamico si combatto-
no da sempre guerre tra sunniti e tra sunniti e sciiti. Tutti
vogliono il potere politico, ma da una parte - Fratelli mu-
sulmani ed altri - c’è chi pensa alla strada elettorale - che
non è la strada democratica-, chi invece da sempre pen-
sa all’uso di gruppi più estremisti. Al Qaeda non nasce
nel 2001, ma ben prima. È un fenomeno che esiste da
un sacco di tempo, non è una novità. Addirittura direi dal
1997, cioè da quando i talebani prendono il potere a Ka-
bul e l’Afghanistan diventa un campo a cielo aperto di
formazione dei gruppi terroristi; quando l’ho denunciato
nessuno ci ha fatto caso più di tanto. Quindi il terrorismo
non è un fenomeno nuovo ma un fenomeno molto, molto
complesso che non è stato visto per molti anni e rispetto al
quale siamo impreparati. La cosa peggiore è che invece
di darci gli strumenti per riuscire a governarlo almeno un
po’, stiamo andando nella deriva opposta.
Questo accentua ancora di più il senso di
insicurezza…
E la leadership politica in generale non spinge verso l’in-
tegrazione, ma verso il nazionalismo. L’Italia non è un pa-
ese con un forte senso nazionalista, ma anche grazie a
‘stravaganze’ di politici come Salvini si muove in questa
direzione… dovremmo riflettere un po’.
Pensa che le donne e le lotte per il riconoscimento
dei loro diritti possano portare un contributo
positivo in questo difficile contesto?
Al di là dei nostri stereotipi, le donne che io conosco e fre-
quento del mondo arabo, islamico e africano mi sembrano,
sono, molto più vivaci e attive delle donne nel nostro pa-
ese. Ci sono cose su cui potremmo attivarci subito... Per
esempio abbiamo un problema di immigrate vittime di trat-
ta che riguarda le nigeriane e che è ben documentata con
dati, ma non mi sembra di vedere in Europa un’attenzione
particolare. I dati sono allarmanti: erano circa 19mila l’an-
no scorso e arrivano tutte praticamente dalla stessa zona
della Nigeria, dove c’è un problema con tutta evidenza.
Penso anche all’alto numero di minori non accompagnati,
ma non vedo una particolare attenzione del mondo femmi-
nile in Italia e quando vado in giro a parlare di questi temi
sono sempre sola.
E a proposito di andare in giro, a marzo ha
partecipato a New York alla Commissione sulla
condizione delle donne (CSW60). Quali impressioni
ci riporta?
Ho ricevuto da parte di alcuni gruppi richieste di sostegno
sulle battaglie che fanno a casa loro, magari non contro il
terrorismo, ma sulle mutilazioni genitali femminili o sui ma-
trimoni forzati. È diventato più facile scrivere una dichia-
razione o una risoluzione sui diritti delle donne, ma la loro
difficoltà è essere efficaci in loco o trovare sostegni.
Quali sono le priorità che le donne italiane
dovrebbero darsi?
Ci vogliamo occupare delle donne immigrate nel nostro
paese? A parte poche e coraggiosissime organizzazioni
che si occupano dei migranti, non vedo altro. Molto si po-
trebbe fare: si può premere per cambiare la legge sulla
cittadinanza, per cambiare la legge sulla clandestinità,
si può premere per avere finalmente una legge sul diritto
d’asilo. Vedo poco interesse, non c’è una mobilitazione e
l’attenzione è solo di gruppi sparuti ed eroici.
Perché il Parlamento con il più alto numero di
donne e il più giovane dal dopoguerra non riesce
a mostrare una particolare sensibilità e ad essere
dinamico su questo fronte?
Non lo so… penso vada chiesto alle parlamentari. Abbia-
mo visto recentemente un dibattito patetico sui matrimoni
civili, sulla gravidanza in affitto. Che pena…?
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