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Numero 1 del 2008

Siamo in movimento


Foto: Siamo in movimento
PAGINA 16

Testi pagina 16

È di Cecilia Robustelli la proposta perun uso della lingua italiana rispetto-
so dell'identità di genere. Associata di
Linguistica Italiana all'Università di
Modena e Reggio Emilia, la prof.sa Ro-
bustelli ha conseguito il dottorato di ri-
cerca in Linguistica Italiana all'Univer-
sità di Reading, ha studiato e tenuto
corsi in Inghilterra e Stati Uniti. È autri-
ce di numerose pubblicazioni sulla sin-
tassi storica, la grammatica italiana e il
linguaggio di genere. Dal 2000 collabo-
ra con l'Accademia della Crusca.
http://cdm.unimo.it/home/dipslc/robu-
stelli.cecilia/Curriculum.doc
Come procede la raccolta firme?
È necessario sensibilizzare di più le
donne sulla questione. L'adesione di
rappresentanti delle istituzioni, come la
Consigliera Nazionale di Parità Isabella
Rauti, fa capire quanto essa sia impor-
tante e sentita.
Facciamo un po' di storia sull'uso del
genere femminile in italiano…
Vent'anni fa Alma Sabatini nel lavo-
ro 'Il sessismo nella lingua italiana'
(1987) volle "suggerire alternative com-
patibili con il sistema della lingua per
evitare alcune forme sessiste della lin-
gua italiana". Nel terzo capitolo, Rac-
comandazioni per un uso non sessista
della lingua italiana, Sabatini
suggeriva tutta una serie di va-
rianti non sessiste alle forme in
uso , suscitando ampie discussio-
ni: il grande pubblico, del quale
Sabatini aveva già previsto quel-
le obiezioni (su tutte quella che
la parola nuova fosse 'brutta' o
'suonasse male') che periodica-
mente ricompaiono, in parte ac-
colse le sue indicazioni, ma a li-
vello ufficiale tutto tacque. E
pensare che il lavoro era stato
commissionato dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri!. Seguì
il Progetto Polite (Pari Opportuni-
tà e Libri di Testo), che raccoglie-
va le sollecitazioni della Confe-
renza mondiale di Pechino
(1995), e la pubblicazione di due
Vademecum (Saperi e libertà:
maschile e femminile nei libri,
nella scuola, nella vita, a cura di
Ethel Serravalle, I-II, Milano, As-
sociazione Italiana Editori, 2000). Sono
venute poi tutta una serie di indagini
sulla rappresentazione della donna (an-
che nel linguaggio) nei media (penso a
Una, nessuna...a quando centomila? a
cura di L. Cornero, Rai Eri, 2001) ma si
continua ad assistere a un'omologazio-
ne linguistica della donna al maschile.
Come si comporta la stampa?
Il linguaggio dei giornali è la prova
tangibile dell'incertezza che aleggia sul-
l'uso del femminile: che senso ha scrive-
re 'Il giudice di Parmalat: siamo più bra-
ve' (Corriere della Sera, 8.12.07)? Ma
c'è di peggio, valgano per tutti i titoli si-
billini 'Il marito dell'assessore sarà pre-
sidente' (La Repubblica, 10.3.2005) o 'Il
Sindaco di Cosenza: aspetto un figlio! Il
segretario DS: il padre sono io (La Re-
pubblica, 10.8.2005). Sì, fanno sorride-
re, ma quale contenuto informativo
hanno? Mi sembra che ingenerino una
gran confusione. E dire che la Commis-
sione Pari Opportunità della FNSI è atti-
vissima: gli incontri annuali al COM-PA
di Bologna, organizzati da Marina Co-
si, danno indicazioni chiare per un uso
non sessista della lingua, ma non c'è
niente da fare!
Come risponde a chi sostiene che
certi femminili 'suonano male'?
Che è solo questione di abitudine al-
le parole nuove. Non c'entra la fonetica:
se 'maestra', 'monaca', 'coniglietta', 'pa-
stora', 'deportata' suonano bene, è diffi-
cile sostenere che 'ministra', 'sindaca',
'prefetta', 'questora', 'deputata' suonano
male! La ragione è un'altra: si declina al
femminile un contenuto semantico per
tradizione associato al maschile, e que-
sto crea sconcerto. La preferenza per l'u-
so del maschile, molto diffusa proprio
fra le donne, riflette ancora l'esitazione
ad accettare che certe figure professio-
nali siano riconducibili a donne. Ma
usare il maschile per le donne che rico-
prono professioni e ruoli di prestigio
(penso per esempio alla componente
femminile del Parlamento!) non solo
disconosce l'identità di genere e nega
quello femminile, ma addirittura na-
sconde le donne!.
Cosa pensa del cosiddetto maschile
'neutro'?
Che è una favola, ma continua a cir-
colare: si sostiene, salomonicamente,
che il maschile si può usare 'in senso
neutro' o che 'tanto ci si riferisce al la-
voro, non alla persona, quindi non im-
porta specificare se si tratta di maschile
o femminile'. Ma il 'maschile neutro' non
esiste, e per ragioni squisitamente lin-
guistiche: in italiano il genere gramma-
ticale corrisponde, per gli 'esseri anima-
ti', a quello biologico. Il genere gram-
maticale maschile si lega a un referente
biologicamente maschile, quello femmi-
nile a un referente femminile. Semplifi-
cando molto, il genere grammaticale
maschile evoca nella nostra mente un
uomo, quello femminile una donna. Di
neutro proprio non si parla!
Ci sono interventi ufficiali sulla que-
stione?
Sporadicamente si assiste a interven-
ti sdegnati che sottolineano la contrad-
dizione insita nell'uso delle forme ma-
schili per le donne. La Direttiva sulle mi-
sure per attuare Parità e Pari Opportu-
nità tra uomini e donne nelle Ammini-
strazioni Pubbliche della Min. Pollastri-
ni sostiene la necessità di usare un lin-
guaggio 'non discriminatorio'.
Nell'Atto di Sindacato Ispettivo del
Senato del 31 maggio 2007 (http:
//www.senato.it/japp/bgt/showdoc/sho
gennaio 2008 noidonne16
Ciò che non si dice, non esiste
Intervista a Cecilia Robustelli
Elena Ribet
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