Numero 5 del 2010
Non solo madri
Testi pagina 16
maggio 2010 noidonne16
“Le probabilità sono una cosa, le cer-tezze sono un'altra. Spesso si attri-
buisce agli esami prenatali un valore
predittivo che in realtà non hanno. Ri-
spetto alle scelte ci sono condiziona-
menti alimentati da luoghi comuni, dal
medico, dalle amicizie, dalla società in
generale. È difficile per una donna o per
una coppia fermarsi e decidere cosa va
bene per lei, per loro”.
Anita Regalia, ginecologa
e docente universitaria, ha la-
vorato tra l'altro come consu-
lente di gruppi di donne in
gravidanza sui temi della
diagnosi prenatale. Attraver-
so il lavoro sulla rappresenta-
zione delle paure e sull'evi-
denza del reale, dando infor-
mazioni specifiche e affron-
tando i dubbi delle donne, il
dato che emerge è che al ter-
mine degli incontri le donne,
nel 43% dei casi, non erano
più molto sicure di voler fare
indagini prenatali. Un altro
dato importante è che, se il 3-
4% è la prevalenza assoluta
di malformazioni, poche don-
ne conoscono veramente qua-
li esse siano: il piede torto, l'i-
po-epispadia (alterazioni del-
lo sbocco del meato uretrale),
difetti cardiaci, il labbro le-
porino, la sindrome di
Down...
"Il problema è che oggi
manca un approfondimento
sui contenuti. Occorre un
equilibrio tra 'sapere' e 'senti-
re'. Ogni buona scelta che ci appartiene
profondamente, agisce sulla rappresen-
tazione individuale e collettiva, ha va-
lore oltre quella donna, quella coppia,
quel bambino, quella bambina. È dove-
re della medicina non colpevolizzare la
singola donna, in particolare le nuove
generazioni che vivono una situazione
di ansia e di fragilità. Relazionarsi, di-
fendere i tempi del counselling, capire
che non è vero che le donne possono
prendere decisioni libere, consapevoli e
responsabili. Le scelte delle donne sono
ancora molto condizionate".
Le parole di Anita Regalia ricordano
molto quelle di Barbara Duden, sociolo-
ga e storica delle donne, autrice tra l'al-
tro del libro "Il corpo della donna come
luogo pubblico. Sull'abuso del concetto
di vita" (Editore Bollati Boringhieri).
Le domande di fondo di Duden sono:
cos'è il feto? Perché la donna incinta è
diventata l'ambiente uterino per l'ap-
provvigionamento di un feto? Perché le
donne servono quella vita della quale
credono di doversi assumere la respon-
sabilità? Perché l'acquisizione del feto
priva la donna del proprio corpo e la
degrada al ruolo di cliente/paziente bi-
sognosa di assistenza? Sempre Duden
avverte del pericolo di perdere la sag-
gezza e la conoscenza delle donne nelle
generazioni di oggi: quel sapere intuiti-
vo, ma anche fisico, corporale, che è or-
mai diventato ambito esclusivo e mono-
polio di altri.
Stiamo parlando del concetto di "ri-
schio" e di "responsabilità", che stanno
sulle spalle, nella pelle e nel corpo delle
donne.
"Il mio lavoro di Consulenza di grup-
po per la diagnostica prenatale è parti-
to da un disagio che avvertivo rispetto
alla superficialità diffusa. Mi sono chie-
sta come fosse possibile che certe perso-
ne, che si scandalizzano sui temi del fi-
ne-vita, su casi come quello di Welby,
potessero poi arrivare con tanta facilità
a prescrivere indagini prenatali".
Sono affermazioni forti, che partono
da un numero. 1/350. Uno su trecento-
cinquanta sarebbe la soglia di "rischio"
considerato "giusto", limite
che ha definito la soglia delle
indagini gratuite o a paga-
mento, limite che induce un
bisogno e che viene recepito
da ogni singola donna in un
modo differente. Esiste un ri-
schio "accettabile" quando si
tratta del proprio bambino o
della propria bambina?
Duden dice che la donna
oggi è spinta a una serie di
decisioni, la cui pressione è
esercitata da altri seppur ogni
volta siano le stesse donne ad
aver l'ultima parola (e l'ulti-
ma responsabilità). Di volta
in volta i test mettono in dub-
bio questo bambino, o questa
bambina, che deve nascere: si
inizia con l'incognita dei pri-
mi tre mesi, poi con quella
delle indagini come l'amnio-
centesi, con l'esito che l'attesa
di un bambino o una bambi-
na non rappresenta più un
motivo di gioia. Il feto si è tra-
sformato in un portatore di ri-
schio.
"Secondo un'indagine con-
dotta da Altroconsumo, il
62% delle donne in gravidanza hanno
fatto indagini prenatali. Di coloro che
non le hanno fatte, il 60% avrebbe in
ogni caso portato a termine la gravi-
danza; tra le ragioni per non farle, la
disinformazione, la paura, l'essere scon-
sigliata. Qui siamo di fronte alla defini-
zione di un nuovo dovere materno, in
cui è solo e soltanto la donna a dover
prendere una decisione responsabile sul
futuro del proprio bambino o della pro-
pria bambina. Questo è uno dei nuovi
modi che la società odierna ha trovato
per autorassicurarsi sull'incertezza che
da sempre l'idea e il fenomeno della na-
scita portano con sé. Ma con quali rica-
dute?".
Conversazione con Anita Regalia
Elena Ribet
Il nuovo dovere materno