Numero 12 del 2009
Femminsmo: parliamone
Testi pagina 15
noidonne dicembre 2009 15
La meno frequente è: essere sexy, con un
risicato 9,6%. Più di un quarto delle in-
tervistate inserisce però, nelle tre opzio-
ni di risposta consentite, l'essere magra.
Anche la domanda 'Com'è per te un cor-
po ideale? Scegli tre aspetti' ha ottenuto
risposte non scontate: in pole position,
proporzionato (74,6%), seguito da sano
(72,45%), bello (41,9%), atletico e forte
(23,7%), magro (23,7%), sexy (16,1%).
Abbiamo chiesto anche cosa è più im-
portante per sentirsi a proprio agio con
il corpo. Le risposte sono: indossare ve-
stiti che mi piacciono (75%), essere sa-
na (74,4%), essere bella (59,7%), essere
magra (39,5%), vedermi giovane e sexy
(14,8%). Quale ruolo svolgono a questo
proposito le riviste di moda? Il 57,6%
delle intervistate risponde che non le
compra mai o raramente, il 16,6% spes-
so o sempre. Però al 52,2% piace, da ab-
bastanza a molto, guardare le pubblici-
tà. Dopo averla guardata, al 44,2% vie-
ne voglia di fare shopping, il 30,9% ri-
mane indifferente, il 38,4% prova insod-
disfazione per il proprio aspetto fisico e
pensa a palestre e saloni di bellezza. Se
si chiede poi di rispondere a quest'altra
domanda: 'Pensi che la pubblicità delle
marche di moda ti condizioni nell'accet-
tazione del tuo corpo e nelle relazioni
affettive?' è vero che il 50% risponde no
o poco (il 7,2% però risponde 'molto')
ma, nello stesso tempo, l'87% delle in-
tervistate ritiene che gli altri, bambini,
ragazzi e uomini, ne vengano abbastan-
za o molto influenzati.
Ancora, alla domanda: 'Ti piace cir-
condarti di persone belle?' il 68,3% ri-
sponde prevalentemente di si. Non è il
momento di invertire la rotta? È accet-
tabile un lavaggio del cervello che indu-
ce a ritenere l'aspetto fisico un requisito
indispensabile, su cui investire per rag-
giungere l'affermazione personale? Si
spera che il dilagare di rappresentazioni
e condizionamenti mortificanti per le
donne trovino davvero presto un argine,
fuori e dentro il palazzo, come si è im-
pegnata a fare, a conclusione della ta-
vola rotonda, anche la senatrice del PD,
Marilena Adamo.
la pubblicità influenza le
giovani con i modelli di
donne artefatte, sguaiate e
squinternate che propone?
Una ricerca dell'Università
Cattolica di Milano svela
qualche segreto
Femminismo: se il dibattito è “impotente”
Sarebbe certamente importante se il dibattito scaturito dalle vicende di sesso a
pagamento nell'harem del premier investisse una società incapace di dire una
parola di verità su di sé. Negli anni passati le donne hanno pensato che lo loro
battaglie e idee avevano cambiato il mondo. Le donne, quelle che a nome di
tutte le altre hanno preso la parola, si sono poi raccontate la favola che mentre
il mondo celebrava i fasti del denaro e dell'individualismo più sfrenato il proget-
to di un essere umano capace di relazione sarebbe rimasto intatto nelle coscien-
ze. Ovviamente non è stato così. Per questo la rappresentazione del femminile
che emerge dal dibattito di queste settimane secondo me, è vera solo in parte.
Io vivo ogni giorno una diversa realtà, incontro ragazze iscritte alle facoltà scien-
tifiche, donne nelle professioni fino a ieri privilegio degli uomini: dal medico, al
dirigente, alla docente universitaria. Questo nella realtà italiana di trenta anni fa
non c'era. Come non c'erano gli attuali tassi di alfabetizzazione e acculturazio-
ne femminile. Credo che molte di queste donne sentono più importanti proble-
mi come la crescente crisi che falcidia i loro posti di lavoro, anche quelli precari
e malpagati pur se qualificati. Ma queste donne che io incontro e che tutte
incontriamo nella realtà, nel discorso di tante femministe storiche, che sono
state all'avanguardia quasi 40 anni fa e delle quali nessuno nega il contributo,
non ci sono. La condizione delle donne è profondamente cambiata, e per tanti
versi poteva cambiare davvero in meglio, 'se'. Ecco, è questo 'se', che oggi il fem-
minismo non affronta: impossibilitato dalla sua stessa storia o meglio dalla sto-
ria concreta della grande maggioranza delle sue esponenti più rappresentative,
quella di una scelta di campo di matrice "liberaldemocratica", operata a partire
dalla metà degli anni '80. Scelta assolutamente comprensibile storicamente, che
si è intrecciata non a caso con la distruzione dei grandi partiti di massa (mi rife-
risco sia al PCI che alla DC, senza dimenticare quel patrimonio libertario - più
esile ma importante come riferimento ideale - del PSI). Da allora, e senza alcun
confronto, degno almeno di nota, il femminismo italiano si è modellato solo su
riferimenti culturali e politici della significazione "simbolico-giuridica" del fem-
minile, espungendo da sé ogni rapporto con le culture della trasformazione
sociale e del superamento delle forme privatistiche del capitalismo, all'interno
del quale poter collocare una liberazione nuova e generale del genere femminile.
Per il femminismo italiano, semplicemente, questa dimensione trasformativa
non esiste. E' per questo che la devastante rappresentazione pubblica di un
genere femminile, in cui fa breccia la deriva privatistica e asociale ventennale
delle reti Fininvest e la frantumazione degli esseri umani come regola di una
sopravvivenza da giungla, ha aperto nel femminismo italiano e tra le sue espo-
nenti di maggior spicco - donne potenti e inserite a pieno titolo nei circuiti
mediatici pubblici - un deviante e impotente dibattito: sulla forma con la quale
si presenta oggi l'immagine delle donne, senza affrontare il nodo di cui quell'im-
magine è sostanza, un reale rimosso, la devastazione civile e morale di un paese
che non è in grado di rispondere a nessun bisogno di libertà e di emancipazione
fondate sulla costruzione della propria forza e sul proprio sapere. E' inutile con-
tinuare a dibattere sulla libertà di prostituirsi e finire quasi col fare di D'Addario
la vittima: perché quello che è venuto alla luce è che i nostri ideali di liberazio-
ne di quarant'anni fa si sono corrotti dentro l'erosione delle conquiste sociali
degli anni 60 e 70 e con l'erosione dello spirito pubblico. Nel femminismo ita-
liano esistE una egemonia di lunga data che ha finito col il pensare che l'uscita
dal modello fordista di lavoro e da una cittadinanza costruita su misura del
maschio avrebbe significato l'uscita delle donne dalla gabbia di minorità delle
tutele. Ma a quella gabbia si è sostituita l'assenza di ogni regola. Ma si è detto
che finalmente le donne erano forti e non avevano più bisogno di politiche mira-
te a trasformare i loro bisogni di liberazione in diritti sanciti ed esigibili: dal lavo-
ro, alla libertà procreativa e sessuale, alla tutela della propria integrità fisica e
morale di fronte ai revanchismi di maschilismo violento. Siccome si è detto che
le donne ora erano finalmente forti, non si è più vista la realtà, la fatica vera di
esistere nel progetto di sé che, e paradossalmente è parso lecito anche il gesto
di chi manda al governo le Carfagna. Così ci si ritrova a vedere in televisione
donne messe lì dal capo dire che fa bene a distrarsi e le femministe arrancare per-
ché hanno rinunciato a contestare i modi della promozione femminile. Non
erano forse tutti leciti?
Paola Pellegrini