Numero 4 del 2010
Svelate
Testi pagina 14
aprile 2010 noidonne14
Come sosteneva Edward Said, l'ideache i popoli orientali, nella fattispe-
cie quelli musulmani, siano arretrati e
portatori di una diversità quasi certa-
mente inconciliabile con la nostra socie-
tà è da far risalire a quel presunto de-
terminismo biologico che da secoli li in-
chioda a precise rappresentazioni, de-
scrivendoli come soggetti improduttivi e
retrogradi, addirittura pericolosi. Que-
sta concezione - che spinge a considera-
re gli immigrati non tanto nell'ottica di
nuovi cittadini e cittadine, ma come
"problemi da risolvere o circoscrivere"- si
riverbera nella rappresentazione della
donna immigrata alimentata dai me-
dia.
Il governo francese si appresta a vie-
tare il burqa e la notizia scatena in Ita-
lia l'interesse per un argomento che il
più delle volte rimane fermo alla diatri-
ba superficiale e strumentale, per poi
sfumare nel disinteresse. Strano destino
delle donne musulmane, alle quali non
potendosi attribuire gli stereotipi che
tanto decantarono scrittori-viaggiatori
come Flaubert e Nerval, si continua ad
attribuire, attraverso altri stereotipi, l'i-
dea di una medesima debolezza, inca-
pacità di pensiero autonomo verso l'in-
sieme di valori e pratiche di cui il mon-
do maschile è il principale organizzato-
re e manipolatore. Colpisce che la que-
stione complessa della cultura delle im-
migrate sia tirata in ballo soprattutto
sulla spinta di eventi di cronaca o pre-
sunte crociate di qualche esponente po-
litico che vorrebbe liberarle in un colpo
solo da quei simboli, senza badare alla
loro opinione e al loro vissuto. Insom-
ma, nei media le donne musulmane so-
no pressoché invisibili, se non quando si
tratta di negare o giustificare la loro in-
visibilità corporea.
E puntualmente i giornali propongo-
no distinzioni fra hijab, niqab, burqa o
chador, istruzioni per chi si troverà a
dover incrociare tali stranezze. Eppure è
interessante riflettere su come i media
trattano lo stereotipo del velo. Se una
minoranza intellettuale si spinge a cer-
care interpretazioni più aggiornate del
Corano, nell'esigenza di circoscriverne
l'uso e ricondurlo a un fraintendimento
linguistico, c'è chi prova a recuperare
curiose analogie con la storia cristiana.
Questi tentativi non sono nuovi: già al-
la fine dell'ottocento, Qasim Amin ne 'La
liberazione della donna' invitava la
donna araba a togliere il velo, sostenen-
do che non era imposto dalla religione.
Come sempre è un problema più cultu-
rale e sociale: le donne siciliane o pu-
gliesi che si velavano fino a pochi anni
fa non lo facevano pensando a San Pao-
lo, ma seguendo una tradizione medi-
terranea molto più antica iscritta da se-
coli nel loro codice di comportamento.
Però, oltre a rare notizie che relazionano
il velo con l'emancipazione di genere e
ricordano magari che "una delle consu-
lenti di Obama è un' americana velata",
c'è da segnalare un uso molto più cospi-
cuo del termine con una valenza negati-
va, come si legge in un titolo de Il Gior-
nale (S. Tramontano, Sotto il velo della
Daddario, 31-7-2009).
A questa concezione, che attribuisce
al velo un contenuto inquietante e tor-
bido, si ricollega quella che lo vede alla
stregua di una maschera, tanto cara
agli esponenti della Lega, aficionados
dello stereotipo che lo liquidano appel-
landosi a un provvedimento antiterrori-
smo. Il tema della paura ha contrasse-
gnato anche la polemica sul burkini, il
costume da bagno vietato da alcuni sin-
daci leghisti. E mentre sul Corriere, M.L.
Rodotà rassicura che "è integrale come i
costumi dei nuotatori agonistici", c'è
chi, con una vena di commiserazione
femminile, sposta l'attenzione sul costu-
me "fai da te" (A. Sandri, Burkini in pi-
scina, La Stampa, 19-8-2009). I giorna-
Il velo e i suoi affini
Velate o svelate / 1
Ilaria Papa