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Numero 8 del 2016

Felicità, parliamone


Foto: Felicità, parliamone
PAGINA 13

Testi pagina 13

11Luglio-Agosto 2016
rispetto a prima perché anni fa non c’era dispersione: chi
partiva arrivava; adesso invece sanno che ci sarà una di-
spersione data la situazione incontrollabile del paese nord-
africano. In Libia ci sono diversi gruppi che gestiscono
ognuno il proprio ghetto, facendo prostituire le ragazze
all’interno aspettando che la Madame ordini per telefono
dall’Italia un certo numero di ragazze. La Libia controlla le
coste e le partenze e i miliziani rie-
scono a lucrare due volte: prima
attraverso la prostituzione nei ghetti
e poi rivendendo le donne. Abbia-
mo anche rilevato delle intromissio-
ni dell’ISIS. Ci sono delle cellule
terroristiche che agiscono in rac-
cordo con le organizzazioni che
controllano le coste. Tutti lucrano
sulla pelle delle donne e per loro è
difficile ricostruire il loro viaggio e
questo depotenzia la tutela perché
non hanno elementi a sufficienza
per dimostrare lo sfruttamento”.
Chiediamo a Francesca De Masi,
rispetto alla tutela delle vittime di
traffico, se ci sono buchi normativi o
se il problema è la mancanza di ap-
plicazione della legge. “C’è un dop-
pio problema. Sicuramente la situa-
zione è cambiata rispetto al 1998
quando è stato introdotto l’articolo
18. E poi anche quando le leggi esi-
stono non vengono applicate e questo è da attribuire ad un
clima di criminalizzazione a cui viene sottoposto il migran-
te, in particolare la donna sopravvissuta a tratta degli esse-
ri umani è quella che rimane più sommersa, che non avrà
la possibilità di far emergere la propria storia. Quindi anche
se le leggi non vengono applicate o vengono applicate con
discrezionalità da tutti gli operatori che vengono a essere
coinvolti nell’approccio con queste donne, polizia, magi-
stratura, operatori socio-sanitari e commissioni territoriali”.
Intanto molte donne vittime di tratta finiscono nei CIE nono-
stante siano tante ormai le storie che hanno dimostrato la
disumanità di questi centri. I Cie sono strutturalmente dei
luoghi lesivi dei diritti delle persone. Quello che fa più pau-
ra è l’arbitrarietà che esiste all’interno di questi luoghi. I mi-
granti devono avere la fortuna di incontrare un operatore
preparato o un’associazione anti-tratta, cosa che non è
assolutamente scontata. Il fatto che vengano o non venga-
no violate le leggi sta al buon senso delle singole persone
che ci lavorano. Nel 2009 abbiamo anche avuto casi di
donne che avevano subito violenza nei Cie. La discrezio-
nalità fa sì che non ci sia nessun margine di miglioramento.
Vanno chiusi e basta”. Quali possono essere le alternative,
gli strumenti per fare in modo che le donne possano entra-
re in un programma di uscita dalla tratta? “Si dovrebbero
creare dei contesti che le mettano a loro agio, rispetto alla
possibilità di denunciare o meno. L’articolo 18 non è un
articolo premiale ma di tutela dei diritti umani, il che signifi-
ca che ci sarebbe la possibilità che queste donne non de-
nuncino affatto ma che vengano prese in carico da enti
anti-tratta che si farebbero garanti
della loro storia di sfruttamento.
Questo binario è chiamato binario
sociale ma sono sempre meno le
questure che lo applicano. Le don-
ne non denunciano a causa di de-
terrenti forti, come il rito giù-giù che
le vincola alla persona che le sta
“aiutando” ad arrivare in Italia. Si
tratta di una cerimonia in cui vengo-
no prelevati degli elementi fisiologi-
ci delle donne e lo stregone le fa
giurare che mai tradiranno la per-
sona che le sta portando in Italia,
pena la morte e la follia. Inoltre le
reclutatrici conoscono le case e le
famiglie di queste ragazze. In Nige-
ria il reclutamento avviene alla luce
del sole, attraverso persone che
hanno una certa autorevolezza
all’interno della comunità”. È mai
successo che una Madame venis-
se arrestata? “Per le autorità italia-
ne è molto più facile configurare il reato di sfruttamento,
perché si consuma sul territorio nazionale, rispetto alla
configurazione di quello di tratta, che è un reato transnazio-
nale e ha bisogno di dimostrare gli elementi di connessione
tra i diversi paesi. È difficile perché manca la volontà e le
risorse, perché sono difficili le collaborazioni e i contatti con
la polizia in Nigeria e in Libia. Per quanto riguarda gli sfrut-
tatori è difficile trovarli, perché le denunce delle ragazze
nigeriane sono sempre molto scarne circa i dettagli che
servono alle autorità giudiziarie. Spesso le donne non co-
noscono i nomi veri delle sfruttatrici, l’indirizzo delle case in
cui vivono e quindi si aprono procedimenti nei confronti di
ignoti che non vengono trovati, sia perché c’è una mancan-
za di attenzione rispetto al fenomeno, sia perché spesso
non si hanno sufficienti elementi. Ecco perché è importante
applicare l’articolo 18 senza legarlo alla denuncia. Ma nel
momento in cui il perseguimento della clandestinità e
dell’irregolarità della tutela dei diritti umani è più importan-
te, si assiste ad una massificazione, per cui quello che ac-
comuna tutte le persone trattenute dentro al Cie è sempli-
cemente che non hanno i documenti. Perché non ce li
hanno, non è un problema delle autorità”. b
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