Numero 1 del 2008
Siamo in movimento
Testi pagina 11
noidonne gennaio 2008 11
Modesta conosce bene il "destino
coatto" delle donne: il loro cadere vitti-
me della propria dipendenza affettiva,
del senso di vergogna, della depressio-
ne, della paura di rimanere sola, come
da quella di essere "squartata" dalla
violenza maschile. Quando viene vio-
lentata dal padre sa capire che il pro-
prio corpo sessuato e il proprio piacere
erano tutt'altra cosa da "quella lama fra
le cosce tremanti" che "affondava nel
sangue per dividere, separare". Per que-
sto non rimane "lì sulle tavole del letto,
a pezzi", come pure "sarebbe rimasta".
Non va nemmeno a rifugiarsi nello stan-
zino dove sono nascoste la madre e la
sorella, pur subendo l'attrazione di que-
sto tipo di destino. Preso il lume con cui
non riesce a svegliare le due donne
addormentate lascia che tutto bruci,
senza più desiderare l'aiuto del suo
uomo: "questa volta lui non era lì, e io
anche a costo di morire dalla paura per
quelle fiamme per quel fumo che quasi
mi strozzava, non avrei chiamato aiuto,
né gridato".
Salvatasi dalla violenza maschile
Modesta però finisce nella brace della
violenza femminile, l'oppressione psico-
logica che la donna si autoinfligge, rap-
presentata simbolicamente dalle cure
premurose di una madre-badessa, che,
pur aiutandola ad elevarsi culturalmen-
te, la spinge a trascendere il corpo e ad
abnegarsi in nome di un ideale-dio,
rubandole la gioia di essere viva.
Ma lei è una bambina curiosa che fa
molte domande e studia le persone
come si studia la matematica, la musi-
ca e la grammatica, e impara sulla pro-
pria pelle a liberarsi anche da questa
subdola forma di oppressione, e a non
ricadere in alcun tipo di riduzionismo
e/o dogma che "nasconde la paura della
ricerca, della sperimentazione, della
scoperta, della fluidità della vita".
Modesta, nata in una famiglia pove-
rissima e in un contesto sociale molto
degradato, finisce col trovare in se stes-
sa le risorse 'per' non subire più violen-
za. Già donna matura, e in crisi per le
continue delusioni-contraddizioni che
la vita le pone, succede che un uomo la
aggredisce per gelosia. Lei, guardando
allo specchio la sua ferita, si accorge di
avere "cercato la morte affrontando
Mattia quella notte", e capisce che è sua
la responsabilità di abbandonare le pul-
sioni autodistruttive e di amare se stes-
sa: "Rinasce Modesta partorita dal suo
corpo, sradicata da quella di prima che
tutto voleva, e il dubbio di sé e degli
altri non sapeva sostenere. Rinasce
nella coscienza d'essere sola".
Ecco! Se, invece di aizzare inutili
conflitti di genere, assumessimo il dato
statistico che la violenza maschile è la
prima causa di morte femminile come
un'opportunità per motivarci a rinasce-
re nella coscienza di sé? Se provassimo
a toglierci di dosso il ruolo delle vittime
indifese e iniziassimo a percorrere più
saldamente la nostra libertà divenendo
persone forti, consapevoli e responsabi-
li? Se imparassimo a contrapporci alla
violenza nutrendo, come Modesta, "l'ar-
te della gioia"?
osare amare se stesse e pronunciarsi 'per' invece che 'contro'
sono le prime regole di un efficace decalogo di autodifesa
contro la violenza alle donne, come dimostra il personaggio
di Modesta ne' “L'arte della gioia”
Credo che ogni donna quando vive da vicino le contraddizioni e le difficoltà di genere fin da
bambina, se solo alimentata da un sano interesse culturale alla questione, non può che rima-
nerne affascinata e per certi versi quasi inebetita. Stordita cioè dalla paradossale rassegnazio-
ne al ruolo subalterno e del tutto passivo che tanta cultura ed educazione perbenista vorreb-
bero farci respirare. Madri che rinunciano a tutto per amore di un marito, figli investiti dalle
proiezioni di legittime ambizioni mai sopite ma per l'appunto represse, padri distanti ed emo-
tivamente assenti, nonne che giocano a fare le ragazze sempre in forma e mal accettano la naturale ruota della vita che le
vorrebbe nutrici attente e generose di nipotini bistrattati dal vivere frenetico dei nostri giorni sono solo spunti di rifles-
sione che non possono non scuotere. E poi intorno ai cinquant'anni le scoperte di sempre, la depressione da sindrome del
nido vuoto, gli abbandoni o i tradimenti di coniugi alle prese con la sfida di una rinnovata e mal rincorsa giovinezza, la de-
cisione sul senso del proprio esistere. Da qui quella frase da me tanto amata di Simone De Beauvoir "Donne non si nasce,
si diventa". Appunto ci si genera come per autopoiesi esistenziale raccogliendo con pazienza i pezzi della propria vita, cu-
cendoli con l'amore di una ricamatrice e dando valore a tutto ciò che le nostre giornate per quanto buie, silenziose e in-
comprese possono elargirci. Il dono più grande che ci possiamo fare? Un'identità fedele al nostro più intimo ed autentico
nucleo originario che sfugga ai condizionamenti e alle imposizioni della storia.
Identità al femminile