Numero 1 del 2008
Siamo in movimento
Testi pagina 10
gennaio 2008 noidonne10
Il 25 novembre è stata la "giornatainternazionale per l'eliminazione di
tutte le forme di violenza contro le
donne": nel 1999 l'ONU, accogliendo
una richiesta dei movimenti femministi,
ha deliberato questa data in memoria di
tre attiviste politiche della Repubblica
Dominicana, le sorelle Mirabal, che nel
1960 sono state seviziate e assassinate
dai militari mentre si recavano a far
visita ai loro mariti, in carcere per moti-
vi politici.
In Italia questa giornata è stata
ricordata con molte iniziative. Peccato
però che in molti casi, già dal titolo, si
sia trascurato il "per" e il "tutte le forme
di violenza", limitandosi a dichiararsi
"contro la violenza alle donne", talvolta
specificando "contro la violenza
maschile", come nel caso della manife-
stazione di Roma. Anche io mi sento
impegnata in prima persona nella bat-
taglia culturale rivolta a "un nuovo
patto di convivenza tra uomini e donne
che tanto gioverebbe alla parola civiltà"
(cito dall'appello), e credo che alla base
di molta violenza vi siano misoginismo
e maschilismo. Ma non condivido alcun
tipo di semplificazione e non definirei il
grave dramma di tante donne un "con-
flitto di genere" attribuibile solo all'ag-
gressività e alla "violenza maschile".
A chi si rivolge e verso quale direzio-
ne ci porta proporre la
violenza contro le donne
in questi termini? È così
che vogliamo contribui-
re a diminuire la rabbia
e la paura alla base
della maggior parte dei
conflitti domestici (e
non) causa di molte
morti femminili?
La rappresentazione
della donna indifesa e
vittima di un uomo
dominatore, o arrabbia-
ta contro il maschio cat-
tivo, rischia di diventare
un facile strumento nelle mani del sim-
bolico patriarcale sempre pronto a rin-
novarsi. Eccola la debole, la pazza che
reagisce alle torture subite in maniera
inconsulta! Un secolo fa era internata
in manicomi o sottoposta ad elettros-
hock, e oggi mette in piazza la rabbia!
E se invece di cercare colpevoli pro-
vassimo a comprendere più profonda-
mente le ragioni della violenza? Se smet-
tessimo di attribuire a qualcun altro il
tracciato della nostre vite? Se ci assu-
messimo la nostra parte di responsabili-
tà? Se provassimo ad essere libere?
La libertà femminile non parte da
una reazione istintiva, ma da una pro-
fonda ricerca che alla critica della
società patriarcale accosta una perso-
nale e radicale indagine interiore. Per
Carla Lonzi la prima oppressione da
sconfiggere è quella radicata in ogni sin-
gola donna. Virginia Woolf in "Le tre
ghinee" invita a "pensare e pensare" e a
scoprire le nostre "oscure emozioni":
"perché quella paura e quella rabbia
impediscono una vera libertà tra le
pareti domestiche… e possono impedire
una vera libertà nel mondo della vita
pubblica: possono contribuire concreta-
mente a provocare le guerre".
La causa della violenza contro le
donne non è l'aggressività maschile, ma
una serie di concause secolari (da sem-
pre le donne muoiono
per la disgrazia di stare
dalla parte "sbagliata",
la novità è che final-
mente se ne parla) di cui
anche le donne sono
state complici; ma oggi
possono non esserlo più.
Mancanza di autentica
libertà, condizionamen-
ti sociali, privazioni
(materiali, culturali e
spirituali), complessi
processi psichici, e
molta sofferenza, sia
femminile che maschile,
sono le cause della violenza, che scatta
perché non si è in grado di gestire il con-
flitto, né di assumersene la responsabili-
tà.
La violenza è una relazione, non ha
un responsabile soltanto: e questa è una
buona notizia perché significa che cia-
scuna di noi può fare qualcosa 'per' eli-
minare la violenza contro le donne.
Anche io che scrivo e racconto di
donne, scegliendo di rappresentarle in
un modo o nell'altro, posso contribuire
a fermarla, comunicando fiducia e
potenzialità piuttosto che rabbia e
paura.
Noi siamo fatte di ciò con cui ci
nutriamo: se non vogliamo finire schiac-
ciate dalle oscure emozioni suscitate da
descrizioni di stupri e assassini vari,
anche particolareggiate, propostici da
trasmissioni televisive e pagine di gior-
nali, serve un contrappasso. Oltre a
denunciare ciò che le donne subiscono a
causa del perpetuarsi del patriarcato, è
necessario documentare storie di donne
che, avendo scelto di prendere in mano
la propria vita, riescono ad emergere da
terribili storie di oppressione e a gestire
complessi conflitti, divenendo protago-
niste di trasformazione culturale.
Regalando un libro ad un'amica
posso contribuire a fermare la violenza
contro le donne. Scegliere, ad esempio, il
recente libro in cui Lilli Gruber testimo-
nia "la rivoluzione pacifica delle donne
musulmane", invece delle molte auto-
biografie (talvolta pilotate) di donne
prima vittime della società patriarcale
in cui sono nate e poi "liberate" in que-
st'altra parte del mondo. Oppure di
nuovo vittime della nostra doppia
morale o della nostra finta libertà.
Se provassimo a spostare l'ottica
riduzionista patriarcale, nutrendoci di
simbolici meno opprimenti? Se provassi-
mo ad attraversare paradossi e con-
traddizioni, cercando saperi più artico-
lati, sia maschili che femminili, a parti-
re dalle "narrazioni" di cui ci nutriamo?
La storia di Modesta, la protagonista
del romanzo 'L'arte della gioia' di
Goliarda Sapienza, è l'esempio di un
tipo di narrazione che, osando attraver-
sare in profondità la "disgrazia delle
donne", va in tutt'altra direzione rispet-
to al simbolico femminile della cultura
patriarcale.
Obiettivo uscire dal conflitto di genere
Violenza contro le donne
Giovanna Providenti