Numero 12 del 2009
Femminsmo: parliamone
Testi pagina 10
dicembre 2009 noidonne10
Inaspettatamente le nostre strade si so-no incrociate. Sono passati molti anni
da quando abbiamo lasciato Caulonia,
nostro comune paese di nascita, per
emigrare, io all'università di Modena e
tu negli Stati Uniti. Oggi alterni la tua
densa attività di studioso delle organiz-
zazioni criminali, e della 'ndrangheta in
particolare, all'insegnamento in una pre-
stigiosa università americana. A questo
impegno educativo, oltre che alla nostra
antica amicizia, è legata la tua presenza
a Modena e Reggio Emilia per spiegare
agli studenti che cos'è la "ndrangheta",
un fenomeno che, giorno dopo giorno,
scoprono essere vicino, anzi vicinissimo
alle loro vite, alle loro case.
La tradizione ci presenta ancora la
'ndrangheta come un bucolico mon-
do di pastori, rispettoso di regole e
valori. E' questa la 'ndrangheta che
studi?
La caratteristica principale della
'ndrangheta è la capacità di adattarsi a
qualunque situazione. Per decenni è sta-
ta considerata una mafia stracciona,
meno sofisticata rispetto alle altre orga-
nizzazioni criminali. Questa sottovalu-
tazione ha contribuito a farla crescere,
a proiettarla nei circuiti internazionali
del traffico di droga. Oggi la 'ndranghe-
ta è la mafia più ricca e più potente. E
per studiarla bisogna inforcare le lenti
bifocali che servono a vedere lontano,
ma anche vicino a due palmi dal naso.
La commissione parlamentare antima-
fia l'ha definita un'entità liquida, citan-
do malamente Bauman. La 'ndrangheta
non può essere annacquata nella globa-
lità liquida. Essa prima di essere globa-
le è locale, così come è fortemente tradi-
zionale ed estremamente innovativa, un
mix di arcaicità e di postmodernità.
Perché una società criminale, viene an-
cora oggi definita "onorata società"?
Senza valori, senza quadri di riferi-
mento, senza simboli nessun gruppo
umano regge. Le mafie si sono creati il
mito, le ascendenze nobili. Il mito come
i codici serve a dare legittimità, a crea-
re un senso di appartenenza. In verità,
non ci sono mai state mafie vecchie e
buone, parsimoniose nell'uso della vio-
lenza, studiose dell'onore e del rispetto.
Le mafie sono sempre state mafie. E non
esistono valori positivi che siano anche
mafiosi.
Quanto è importante coinvolgere la
società civile nella lotta alle mafie?
Senza la società civile non ci può es-
sere lotta alle mafie. La repressione ser-
ve, ma non è sufficiente. Quello della
lotta alle mafie è un problema anche
culturale, di mentalità, di abitudini,
non soltanto di giudici e di poliziotti.
Bisognerebbe riformare il modo di fare
politica, intesa come servizio. Bisogne-
rebbe investire di più nell'istruzione e
nella ricerca.
Qual è il ruolo della scuola nella di-
fesa delle libertà democratiche?
Il ruolo della scuola è fondamentale.
Legalità e cittadinanza sono valori fon-
damentali che si acquisiscono sui ban-
chi e tra le mura domestiche. Gli esempi
sono fondamentali perché contribuisco-
no a foggiare mentalità, convinzioni,
modi di essere. Per poter agire nella le-
galità, bisogna essere soprattutto buoni
cittadini, uomini e donne che non devo-
no barattare diritti e bisogni con favori.
Giovanni Falcone ha detto che la
mafia è destinata a finire come tutte
le cose degli uomini. Da queste paro-
le sono passati ormai degli anni. Se-
condo te, ci siamo vicini?
Purtroppo no. Le mafie non sono in-
vincibili e come diceva Falcone possono
avere una fine. Ma non certo per esauri-
mento biologico, per invecchiamento
delle cellule. Per arginarli, e lo sottoli-
neo, c'è bisogno dell'impegno di tutti,
ma soprattutto della forza e della ric-
chezza della società civile.
Legalità, bisogno civile
Lotta alle mafie, il dire e il fare delle donne
Rosa Frammartino
"Senza la società civile non ci può essere lotta alle mafie.
La repressione serve, ma non è sufficiente"
Antonio Nicaso
Giornalista, scrittore, professore, consulente e ricer-
catore (Info: www.nicaso.com), Dottore in Scienze
Politiche, docente all'Università di Middlebury nel
Vermont (Usa) dove insegna "Identità e questione
meridionale". È membro del comitato scientifico del
Nathanson Centre on Transnational Human Rights,
Crime and Security (Centro Nathanson su
Transnazionale per i diritti umani, Criminalità e
Sicurezza) presso l'Università di York (Toronto) e del
Governing Council dell'Alliance Against Contraband
(Consiglio Direttivo di Alleanza Contro Il
Contrabbando a Ginevra, Svizzera). È un pluripremia-
to giornalista, autore di best-sellers; i suoi libri sono
stati tradotti in sei lingue ed è meglio conosciuto per aver pubblicato, per la prima volta,
il "Codice della mafia". Il più recente successo editoriale è "Fratelli di sangue", scritto
insieme al magistrato Nicola Gratteri per la Mondadori e già tradotto in diverse lingue.
Comincia oggi il mio racconto di un mondo al quale mi sono avvicinata nella fase
"matura" della mia passione educativa; un eufemismo da tradurre in un semplice "…
ormai vicina al pensionamento dalla mia attività di insegnante". Già da alcuni anni
offro l'artigianalità della mia trentennale esperienza alla diffusione della cultura della
legalità fra i giovani. Ma l'incontro, inaspettato dopo tanti anni, con l'amico Antonio
Nicaso ha conferito a questa esperienza una positiva sistematicità. Tra i frutti più
belli del mio impegno vi è l'incontro con quanti testimoniano la loro lotta alla cri-
minalità e alle ingiustizie. Da qui il nome della rubrica che rimanda ad un dialogo
con le tante donne che, con generosità e sofferenza, hanno scelto di intrecciare la
propria vita alla testimonianza, fatta di parole e gesti, contro la violenza mafiosa e
le ingiustizie. Un percorso dedicato all'ascolto che non avrebbe avuto inizio senza il
prezioso contributo di Antonio Nicaso, giornalista e scrittore, tra i più autorevoli e
conosciuti studiosi del multiforme "universo mafia". Un dialogo che non poteva par-
tire se non con lui. Rosa Frammartino
DALLA VIVA VOCE il dire e il fare delle donne nella lotta alle mafie