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Numero 3 del 2015

8 Marzo al tempo delle crisi


Foto: 8 Marzo al tempo delle crisi
PAGINA 10

Testi pagina 10

8 Marzo 2015
Quanto ci appartiene il nostro corpo? Quanto c’è di indivi-duale in tutto il tagliare, strin-
gere, curare per rendere sano e bello
e quanto invece deriva dalla nostra
cultura? Questa riflessione nasce dai
miei piedi fasciati per un duplice in-
tervento di alluce valgo. Li paragono
ai “fior di loto”, l’antica pratica di fa-
sciatura dei piedi delle bambine cine-
si che le famiglie ritenevano requisito
di bellezza e di virtù. L’alluce valgo,
invece, è una patologia con-
genita che provoca una
protuberanza dolorosa.
Durante l’adolescenza
pesava sulla mia au-
tostima assieme ai
brufoli e altri difet-
ti. La maturità por-
ta all’accettazione delle
proprie parti oscure e,
quando va bene, an-
che delle imperfe-
zioni fi siche che
diventano parte
dell’identità. L’ac-
cettazione di questi
piedi un po’ scomodi è
stato un po’ più impegna-
tivo del resto. Un principio
molto sentito nella nostra cultura è
quello del valore: ma quanto vale un
corpo? Quanto più vale tanto più va
preservato intatto. E cosa si intende
per intatto? Uno dei valori più quotati
è l’efficienza: un corpo è tutelato e
valorizzato quanto più è tenuto in ef-
ficienza. Ma un intervento comporta
dolore, paura, immobilità. Fino al mo-
mento in cui i benefici attesi in ter-
mini di recupero di funzionalità supe-
rano i costi. Allora interviene la paura
relativa alla manipolazione del corpo:
ferire, amputare, eliminare. Nel mio
caso qualcosa di me che ho fatico-
samente imparato ad amare. Fin da
prima dell’intervento un pensiero
inaspettato mi ha sorpreso: l’idea che
avrò finalmente i piedi belli,
nonostante abbia sempre
considerato Hybris ma-
nipolare il corpo per
farlo diventare qual-
cosa di diverso da
ciò che è. L’opera-
zione in questo caso
non è Hybris: è un investi-
mento per la salute. Ma la
paura è un sentimento
umano e il desiderio
di bellezza mi aiuta
nella presa di de-
cisione. Dopo l’in-
tervento vedo i miei
piedi bellissimi, ma pro-
vo un’emozione intensa.
Sono parte di me ma non li
riconosco. Mi rendo conto che anche
la mia identità è toccata da questo
cambiamento, come se fosse un rito
di passaggio. Li chiamo i miei “fior di
loto”. E rifletto. Che differenza c’è
con la pratica dei piedi fasciati? È suf-
ficiente avere lo scopo di migliorare
la funzionalità per giustificare questo
intervento? Senza dubbio sì, perché
la pratica antica metteva a repentaglio
la sopravvivenza delle bambine. Ma il
concetto di funzionalità va guardato
con attenzione, perché anche i piedi
fasciati servivano ad uno scopo ben
preciso: limitare la capacità di movi-
mento delle donne, ed in questo sen-
so erano efficaci. Lo stesso ideale di
bellezza, anche se a noi occidentali
fa raccapricciare la forma raggiunta
dai piedi fasciati, rispondeva ad un
gusto diverso dal nostro, al conside-
rare valori e canoni estetici diversi.
Quelle donne avranno amato i loro
piedi fasciati? Immagino di sì. Saran-
no stati il loro risultato conseguito,
l’aver adempiuto alle aspettative del
Cinzia Ciardi
Istituto Italiano di Bioetica
www.istitutobioetica.org
MA QUANTO VALE
UN CORPO?
Bellezza ideale, ritocchi e identità
CHI SI SOTTOPONE A
DOLOROSI E A VOLTE
RISCHIOSI INTERVENTI
CHIRURGICI SUBORDINA
IL SUO BENESSERE
ALLO STRAPOTERE
DELL’IMMAGINE
QUESTA RIFLESSIONE
NASCE DAI MIEI PIEDI
FASCIATI PER
UN INTERVENTO
ALL’ALLUCE VALGO
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